Art Afrique Alla Fondazione Vuitton | Abbiamo Parlato Con Thuram Di Arte Africana, Italia E Dei ‘Buuu’

Campione del Mondo e Campione d’Europa. Campione d’Italia. Gli anni passano ma a guardare Ruddy Lilian Thuram-Ulien sembra che il tempo lo abbia preso in simpatia, regalandogli quell’aspetto di eterno, giovane ragazzo. Lo stesso che aveva quando il suo destino incrociò il Parma e poi la Juventus, in quel ruolo di difensore, ricoperto anche in altre squadre e con la maglia della nazionale francese. Ruolo che nel 2004 lo ha portato nella FIFA 100, la lista dei 125 più grandi calciatori viventi.

Ambasciatore Unicef dal 2010, da quando si è ritirato Thuram ha fatto molte cose, la maggior parte delle quali volte a promuovere l’integrazione e a lottare contro ogni forma di discriminazione e razzismo.
Il caso di un paio di settimane fa della squalifica (annullata) di un turno ai danni del calciatore ghanese del Pescara Sulley Ali Muntari (durante la partita si è ribellato per i versi scimmieschi dei tifosi e l’arbitro ha pensato bene di punire lui piuttosto che fermare il match) a quasi dieci anni dall’addio al calcio di Thuram mostra che c’è ancora molto da fare tra gli addetti ai lavori del calcio e i compagni di squadra. E in questo senso Thuram ci ha raccontato cosa ne pensa di questa realtà, soprattutto quando succedeva a lui.
Fondatore della Fondation Lilian Thuram, autore, tra i vari, di Per l’Uguaglianza (2014), Mes étoiles noires (Le mie stelle nere) e del libro a fumetti Notre Histoire (La Nostra Storia) Thuram oggi è un attivista a 360%, anche se lui ci (si) chiede: “Cos’è un attivista?”
Come molte altre istituzioni in Francia, anche la Fondazione Louis Vuitton indossa i colori dell’Africa, per lo meno dentro, fuori brilla dei colori di Daniel Buren. Con Art Afrique, le nouvel atelier, la Fondazione Louis Vuitton apre una serie di mostre che celebrano la diversità del panorama artistico contemporaneo africano con tre percorsi espositivi, visibili fino al 28 agosto.
Les initiés (Gli esperti,) che copre il periodo 1989 – 2009, mostra una selezione di opere classiche provenienti dalla collezione del businessman Jean Pigozzi, curata e arricchita per tanti anni dal gallerista André Magnin.
Être là, il secondo percorso, fa un focus sull’arte sudafricana e proprone una rosa di artisti giovani ed impegnati.
Il terzo percorso è invece dedicato alle opere di artisti africani e della diaspora che fanno parte della collezione della Fondazione.

Questa iniziativa, soprannominata “La primavera africana parigina” ha fatto e continua a far parlare molto di sé, lasciando alcuni perplessi ed altri meravigliati. Insomma, va un po’ analizzata.
Durante l’opening abbiamo incontrato Lilian Thuram, ex difensore del Bleus, parmigiano e torinese (juventino,) oggi attivista. Ci ha detto la sua sull’argomento, raccontato come la pensa e parlato dei suoi anni trascorsi in Italia.
GRIOT: Posso farle qualche domanda per GRIOT?
Lilian Thuram: Vuoi fare in francese o in italiano ?
Come vuole…
Facciamo in francese.
Che ne pensa di questa improvvisa infatuazione per l’arte africana. La chiamano ‘Primavera Africana”…
Per quanto mi riguarda l’arte contemporanea africana non è una novità. È da molto che noto un interesse verso questo mondo. Oggi se attrae così tanta persone è anche per via del luogo. Siamo sempre alla Fondazione Louis Vuitton e qualche settimana fa c’era la Villette, prima ancora Art Paris Art Fair. Qui alla Fondazione non importa che mostre fai, c’è sempre tanta gente. Come dire…

La cosa positiva è che la gente inizia a capire che l’arte africana alla fine non è come la pensano, la immaginano. C’è molto altro oltre le maschere. C’è una vitalità pazzesca grazie a questi artisti contemporanei che raccontano l’Africa. Trovo tutto questo molto interessante e per l’immaginario collettivo aiuterà a sdognare quei cliché che ruotano intorno alle persone di colore. Perché, appunto, quando si dice Africa si pensa subito alle persone di colore nero. In questo senso è estremamente importante che ci sia questo tipo di evento e bisogna che la gente cambi il modo di percepire il continente africano. Devono capire che l’Africa è nella modernità. Spesso quando si parla di arte africana, ebbene, tanti non sanno che ci sono artisti africani contemporanei.

Ha visitato anche le altre mostre di questa famosa primavera africana parigina? La Villette, Galerie des Galeries, Art Paris, Mac Val…?
Non tutto. C’è stato qualcosa alla Fondazione Cartier recentemente, che ho visto, ma sono andato anche ad Art Paris.
Qual è l’opera che l’ha colpita di più stasera?
[Riflette un po’] Senti, io adoro Chéri Samba. Chéri Samba racconta la società nella quale viviamo. Per esempio, il quadro gigante nella sala di sotto [Après le 11 Septembre,] mi piace molto, fa riflettere su cos’è il terrorismo, su se si debba rispondere ad un atto di violenza con la violenza. Penso che lui, con i suoi quadri, riesca sempre a far scattare un punto di domanda nella persona che li guarda e tu sei quasi obbligato a rispondere, in qualche modo.

Mi piace anche perché è una storia particolare, legata a me. Io sono cresciuto in regione parigina [le banlieue,] insieme a persone che venivano dal Congo. Sono cresciuto anche con Lumumba e quindi ho un forte legame con il Congo.
Lilian Thuram è collezionista?
No, non sono collezionista. Sono un amante dell’arte. Mi piace perché racconta delle storie.
Sei anche un po’ attivista, non è vero [passiamo al tu]?
Cos’è un attivista?
Una persona che difende una causa.
In quel senso ognuno di noi dovrebbe essere attivista! Diciamo che io ci sto a denunciare le dominazioni esistenti nelle nostre società. La dominazione degli uomini sulle donne per esempio è una diseguaglianza che va denunciata, così come le discriminazioni verso gli omosessuali. Si deve anche denunciare la dominazione che c’è sui neri. Per questo sottolineavo l’importanza di essere in questo tipo di luogo, per mostrare il panorama artistico del continente africano, distruggere questa immagine negativa e sbagliata sull’Africa.

L’immagine dell’Africa è innanzitutto un discorso. Ma spesso la narrativa che propone l’Europa sull’Africa è degradante. Oggi, qui alla Fondazione Vuitton, la narrativa è positiva. Non so se è questo vuol dire essere attivisti, ma penso dovremmo esserlo tutti [ride.]
Ho notato che parli molto bene italiano!
Non è vero… dai, ci provo!
Qual è il tuo legame con l’Italia?
Un legame di amore perché ci ho vissuto per dieci anni della mia vita. I miei due bambini sono nati lì e spesso il legame di amore si percepisce guardando i dettagli. Per esempio, amo i Caraibi perché sono originario della Martinica. Quello che mi piace di più fare lì è mangiare, adoro il cibo caraibico. E la stessa cosa vale per l’Italia.
Anche a me è la cosa che piace di più, il cibo italiano.
[Passa all’italiano] Vuol dire che ami l’Italia! È vero!
Vivo in Italia da sei anni, quindi…
Solo sei anni? Ma dai! Prima?
Parigi.
Allora stai meglio in Italia!
Tu che hai vissuto per così tanto tempo in Italia, che ne pensi della rappresentazione dei neri nei media italiani?
Fa parte da un processo storico. Da secoli le persone di colore sono giudicate negativamente, non si impara a conoscerle, la gente si ferma ai pregiudizi negativi. È quello che succede con gli afroitaliani e va denunciato. Le persone vanno educate, la popolazione italiana bianca è stata educata a pensarsi superiore. Molto spesso viviamo in una bolla di ipocrisia dove non osiamo dire come stanno le cose.
La tua città preferita in Italia?
La mia città preferita? È difficile. Forse Parma. È la prima città dove sono diventato uno straniero, dalla Francia all’Italia. Devo dire la verità, mi sono trovato molto bene quando sono arrivato lì, perché la città è piccola. Dopo di che ho cominciato a giocare e ho ricevuto tanto amore da parte dei parmigiani.
Quindi a Parma non c’erano molti pregiudizi!? [gli chiede all’improvviso un amico italiano che mi ha accompagnata]
Sì! Ci sono, però io sono un calciatore! È diverso. [Ridiamo tutti] Ma è vero! Quando sei calciatore sei conosciuto.

I pregiudizi che puoi avere su qualcuno è quando non lo conosci e invece pensi di conoscerlo. Ti faccio un esempio: io ti vedo, mi dicono che sei italiano, ma le persone hanno dei pregiudizi sugli italiani e mi dicono “Fai attenzione, guarda che lui è italiano”. Però poi ti parlano, cominciano a scherzare ed a ridere e quindi poi sanno chi sei e non hanno più pregiudizi. Per tanti anni, quando gli italiani stessi sono arrivati qui in Francia, hanno subito i pregiudizi da parte dei francesi. Perché il problema della Francia è che noi siamo stati educati a pensare che siamo il centro del mondo, capisci? Così si comportano molti italiani nei confronti dei neri, perchè è così che sono stati educati.
Se tu non dici la verità, perché alcune volte è difficile dire la verità… però io lo so, sono stato giocatore in Italia. Qualche volta allo stadio mi facevano il verso della scimmia. Ma perché lo facevano? Perché pensano che siano migliori di me. L’importante è che io sia consapevole che loro non sono migliori di me. E quelli che fanno questi versi di sicuro sono peggiori di me. È una questione d’educazione, dai! Ma spesso le persone fanno finta di niente, non vogliono vedere la realtà.
Ultima domanda. Senti Lilian, quando mi arrabbio a me piace molto dire parolacce in italiano, anche quando sono qui a Parigi. Qual è la tua parolaccia preferita in italiano?
Spesso diciamo delle cose sbagliate, non penso che debbano essere ripetute. Non si devono dire le parolacce, è quello che insegnamo ai nostri figli, quindi non dobbiamo fare pubblicità a queste parole!
Ma non intendevo per forza parolacce molto dure. Ce ne sono alcune come “Managgia la miseria”, “E che cavolo”, eccetera.
Allora stai scherzando… Io quando le uso sono peggio di queste, per questo non le posso ripetere.
– di Janine Gaëlle Dieudji
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Immagine di copertina | Lilian Thuram, via
Tutte le altre immagini | Courtesy of Fondation Louis Vuitton
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