Christine Checinska: “Ci Sono Molti Modi Per Essere Africanз E Alla Moda”
Christine Checinska, curatrice della prossima mostra Africa Fashion, che si terrà a giugno 2022 al V&A Museum di Londra, presenta il suo punto di vista curatoriale e alcuni punti salienti da aspettarsi.

Christine Checinska lavora nella moda da decenni, come studiosa e designer. Nel corso degli anni ha realizzato un notevole corpo di lavoro sul rapporto tra razza, cultura e tessuti, focalizzandosi sui contesti britannici e britannico-diasporici. Attualmente è curatrice di African and African Diaspora Fashion del Victoria and Albert Museum di Londra, dove sta curando Africa Fashion, una mostra che a partire da giugno 2022 si occuperà di raccontare la moda come pratica di emancipazione e lente per mettere in luce la diversità delle culture africane. Ha condiviso con noi la sua visione per questo entusiasmante evento che includerà la raccolta di materiali in crowdsourcing.

GRIOT: Africa Fashion si aggiunge al crescente numero di mostre museali dedicate alla moda africana, come Fashion Cities Africa (Brighton, 2016-2018), African-Print Fashion Now! (Charlotte, NC, 2018-2019), Connecting Afro Futures (Berlino, 2019) e il più recente Black Thread (Göteborg, 2020-2021). Cosa la distingue da queste altre iniziative?
Christine Checinska: Africa Fashion celebrerà e promuoverà in maniera consapevole la diversità e l’ingegnosità della scena della moda nel continente. Il nostro principio guida è mettere in primo piano le molteplici voci e prospettive africane. La mostra celebrerà la vitalità e l’innovazione di questa scena vibrante, dinamica e varia, come lo è lo stesso continente africano. A partire dagli anni di indipendenza e liberazione africana, che hanno innescato un radicale riordino politico e sociale, e una rinascita culturale in tutto il continente, ci concentreremo sul carattere avanguardistico dei designer della metà dello scorso secolo, come Shade Thomas-Fahm, Chris Seydou, Kofi Ansah e Alphadi. Chiediamo al pubblico di mettersi in contatto con noi, se hanno capi di questi designer. Presenteremo anche fotografie: ritratti in studio, fotografie di moda. Stiamo anche cercando ritratti di famiglia e filmati domestici. In materia di moda contemporanea, che spazia dalla couture contemporanea, prêt-à-porter, su ordinazione e street-style, offriremo uno sguardo ravvicinato alla nuova generazione di designer rivoluzionari/rivoluzionarie, collettivi, stylist e fotografe/fotografi di moda che oggi lavorano in Africa. La mostra presenterà le mode africane come una forma d’arte affertmativa, che rivela la ricchezza e la diversità delle storie e delle culture africane.


Cosa ti ha spinto a focalizzarti sul periodo 1950-1990?
Gli anni dell’indipendenza e della liberazione africana hanno innescato un radicale riordino politico e sociale e una rinascita culturale in tutto il continente. Nel solo 1960, oltre diciassette paesi africani dichiararono l’indipendenza dal dominio coloniale. Quel momento divenne subito noto come l’Anno dell’Africa. Questa era ha segnato un risveglio. Annunciava un nuovo senso di orgoglio dell’essere Neri/Nere e Africane/Africani. La moda, la musica e le arti visive hanno attinto a tradizioni un tempo emarginate, creando forme innovative che guardavano alla futura autodeterminazione accompagnata da un’indimenticabile gioia di vivere e indipendenza dello spirito. Questi anni introducono una storia di agenzia, abbondanza e creatività senza limiti, che riteniamo rispecchino la vivacità e l’energia della scena della moda africana oggi.

Descrivi Africa Fashion come un’esplorazione di “attitudine, gesto e stile”. Potresti dirci di più a riguardo? E se pensi che questa definizione sia specifica per la cultura della moda africana?
La moda è molto più che capi di abbigliamento. Vediamo la moda come un catalizzatore attraverso cui evidenziare la ricchezza e la diversità delle culture e delle storie africane. A livello individuale, la moda è attitudine, gesto e lo stile—un modo di parlare di se stessз e il modo in cui vorresti essere guardata/guardato. È un aspetto delle culture della moda africane, ma è anche la chiave per altri movimenti di moda.
Sul sito del V&A c’è una call specifica per i ritratti di famiglia e i filmati casalinghi degli anni della liberazione. Perché la scelta di includere testimonianze vernacolari—cosa aggiungono alla conversazione?
Le mode di tutti i giorni sono importanti per noi. All’interno della mostra i ritratti di famiglia e i filmati casalinghi degli anni della liberazione spostano la nostra attenzione su chi li indossa. La moda può essere una forma di attivismo quotidiano o soft power. Questo è ciò che vediamo nella sezione domestica. Africa Fashion la pensiamo come una mostra popolare. L’open call è un ottimo modo per collaborare con il nostro pubblico. Vogliamo ascoltare le loro storie di auto-definizione e rappresentazione di sé. Ci teniamo anche a sfumare i confini gerarchici tra i vari settori della moda, poiché la creatività si presenta in molte forme.

Un’ultima domanda: tra i/le protagonistə della scena fashion africana hai citato i/le “sartorialistə dello street style”. In che modo pensi che le loro performance di stile riflettano uno specifico posizionamento e prospettiva africani, considerando alcune critiche sul campo che invece riproducono stereotipi sul continente?
Ci sono molti modi per essere africana/africano. Ci sono molti modi per essere alla moda. Le mode africane sono indefinibili: questo fa parte della narrativa della mostra. Attraverso Africa Fashion ci proponiamo di offrire uno sguardo alla diversità della scena.
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Sono una scrittrice/traduttrice/ricercatrice e mi occupo di sostenibilità culturale e di comunicazione digitale. Dal 2014 raccolgo e amplifico testimonianze dall’universo africano della moda, e ho pubblicato su libri, giornali e riviste d'arte. Sono stata consulente culturale per la produzione del documentario RAI African Catwalk, girato alla Sud Africa Fashion Week, 2019.