Chiodo Schiaccia Chiodo | Una Giornata In Studio Con Alexis Peskine

di Kelly Costigliolo - Pubblicato il 22/11/2017

Venerdì mattina, 10 novembre, mi trovo nello studio di Peskine, nella petite ceinture parisienne di Issy-les-Moulineaux (l’equivalente della nostra circonvallazione.) Mentre faccio come se fossi a casa mia non mi rendo conto di aver appoggiato la mia spremuta di arancia su un’opera, finché lui stesso non me lo fa notare.

Alexis Peskine, un’inguaribile bilancia nata lo stesso giorno di mio padre (il 29 Settembre 1979) a Parigi, da madre brasiliana e padre ebreo franco-russo, è uno degli artisti dall’indiscutibile talento che hanno esposto dal 9 al 12 Novembre al Carreau du Temple durante la seconda edizione di AKAA – Also Known as Africa, la prima fiera di Parigi di arte contemporanea e design illuminata dalle opere di artisti africani e della diaspora.

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Alexis Peskine – Foto di Aliona Adrianova

Dall’alto dei suoi 2 metri, 49.5 di piede, Alexis è un animo cosmopolita, come il suo passato, gli occhi estremamente sinceri e le mani grandi come il mondo che rappresenta con la propria arte.

Mentre lo intervisto, lui non smette mai di lavorare insieme al suo assistente, tanto da passarmi un pennello affinchè lo aiuti a levare la foglia d’oro sui chiodi che vengono applicati secondo un ordine e ad un’altezza ben precisa, per dare un senso di tridimensionalità all’opera.

L’odore della terra e del caffé con cui dipinge le tavole di legno per invecchiarle invade il suo studio di 43 mq su due piani. Le opere sono disposte qua e là con un certo gusto e una disposizione ben precisa per l’arrivo domenica mattina degli amanti dell’arte.

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Alexis Peskine lavora nel suo studio – Foto di Kelly Costigliolo

Si può dire che la carriera di Alexis Peskine incomincia quando ad otto anni inizia a porsi delle domande sulla propria identità. Cresciuto in un ambiente di artisti, a 15 anni inizia un BAC PRO in grafica a Parigi ma a 17, dopo aver vinto una borsa di studio di NIKE Camp, inizia subito il suo percorso negli Stati Uniti grazie al basket.

Inizia così l’avventura a Chicago e ad Atlanta, per poi atterare al Maryland Institute College of Art (MICA) di Baltimora, dove nel 2003 si laurea a pieni voti.

Dopo essersi interessato un po’ alla pittura e alla serigrafia, Peskine si rende subito conto di voler trovare un proprio linguaggio, che sviluppa meglio alla Howard University di Washington, “La Mecca” degli intelletuali afroamericani.

Nel 2004 durante il suo secondo master, inizia quindi il suo amore per “l’agopuntura”: i chiodi, diventano simbolo di energia, ricordano infatti i feticci protettori “Nkisi” del Congo, ma non solo. Fanno riferimento alla passione di Cristo, al dolore fisico e anche psicologico della trascendenza, ai riti voodoo.

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Futa Tooro, di Alexis Peskine

All’epoca aveva appena 25 anni e non era certo più l’adolescente parigino che aveva lasciato in Francia. Gli States gli avevano dato la possibilità di maturare e di potersi esprimere: era diventato un “woke“, dallo slang della comunità nera afroamericana, che si traduce come una presa di coscienza di una persona sulla questione afro.

“Ricordo che avevo bisogno di un posto per creare a New York. Ai tempi non avevo molti soldi e stavo cercando qualcosa a poco, così andai da Eric Chapeau, il mio mentore ad Hoboken, gli spiegai che mi serviva un posto dove lavorare. Mi chiese di quanto spazio avessi bisogno, risposi che qualche metro era sufficiente, e così mi diede le chiavi e mi disse che potevo lavorare lì gratuitamente. Lavoravo giorno e notte, era perfetto.”

Tutto incomincia con un ritratto fotografico che, dopo aver ritoccato su Photoshop, viene riutilizzato e in seguito rielaborato attraverso diversi materiali, tra cui i chiodi e il legno. Le persone ritratte sono persone anonime, tutte con origini africane, che ben rappresentano quella che viene chiamata “Black Experience” negli Stati Uniti. Solo il nero, nella paletta cromatica di Peskine, fa eccezione ai colori primari, che vengono utilizzati qua e là in modo vivido ed accentuato.

I chiodi vengono ricoperti in seguito con della foglia d’oro (tecnica che ha appreso negli States da un’italiano) attraverso la pittura o lasciati così come sono, a seconda.

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Inside Out, di Alexis Peskine

Le tecniche del passato e quelle di oggi si incontrano dando vita ad immagini strepitose, forti, alcune quasi commoventi, dal momento che l’attenzione si concentra sullo sguardo di ognuno di essi, come se allo stesso tempo l’artista potesse rappresentare la loro anima attraverso un ritratto.

Finiti gli studi, dopo dieci anni in America, nel 2005 è ora di tornare in Europa, a casa dei propri genitori, dove Alexis inizia a lavorare nel proprio garage. “Non era facile,” mi racconta, “quasi sempre i miei amici venivano ad aiutarmi. Ho spesso bisogno di assistenti, due almeno, se quattro ancora meglio.”

Nel 2009 passa cinque mesi di residenza al 59, RUE DE RIVOLI di Châtelet Les Halles, e nel 2010 ha luogo finalmente la sua prima esposizione a Parigi.

Dopo aver incrociato le dita a lungo, un amico gli dice di averlo sognato, e dopo aver fatto un voto portando tre bottiglie di latte ed un pacco di zucchero alla moschea viene subito chiamato per l’assegnazione. Grazie ad un concorso pubblico quindi riesce ad avere un atelier del Comune di Issy-le-Moulineaux: uno spazio tutto suo finalmente.

“Tornavo spesso a Bahia con i miei genitori quando ero piccolo. Circa ogni anno,” mi confessa quando gli chiedo di parlarmi del Brasile e del suo rapporto con questo paese. “Nel 2013 ho inziato a collaborare con l’associazine ‘Giving Back‘ e con la Fondazione Pierre Verger su un progetto nel quartiere di Brotas, per un paio di mesi. Qui insegnavo la mia tecnica a dei giovani del posto. Lo stesso progetto riuscii in reguito a portarlo in Marocco, ma quella volta senza l’aiuto di nessuno.”

Nel 2016 partecipa alla Biennale d’Arte di Dakar e al Festival Mondial des Arts Nègres, che prevedeva 6000 invitati quell’anno nella capitale.

Inutile dire che il rapporto che l’artista ha con il Senegal è molto forte, ed è anche il posto dove preferisce lavorare e dove spera un giorno di poter comprare un atelier. “In quanto panafricano, era importante per me conoscere le mie origini,” mi rivela.

Decide quindi di partire per la Parigi -Dakar con un amico, per tornare sul territorio francese in auto, attraversando il deserto di giorno e di notte per una settimana, bucando varie volte.

Interessato anche alla fotografia vera e propria, uno dei lavori che meglio lo rappresentano (e il suo preferito tra l’altro) è Aljana Moons, la rappresentazione della mascolinità e del rapporto identitario e paterno dell’uomo nero attraverso i riti dei Diolas, del Senegal, e le condizioni dei Talibé.

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Aljana Moons (2) – Twins Horse (2015), di Alexis Peskine

Il lavoro di Peskine è lo sguardo della società su tutto ciò che è diverso. L’animo pop ed il suo tocco figurativo ci fanno vibrare in alto come i propositi dell’artista per il futuro.

Alla domanda “Quali sono i progetti per il futuro?” non può rispondere, né svelarci niente per il momento, ma è previsto un probabile ritorno dell’artista negli US a partire dal 2018.

Immagine di copertina | Alexis Peskine – Foto di Thomas Babeau – Hairstyle di Murielle Kabile | Courtesy of the artist

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Kelly Costigliolo
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Su un aereo a 12.000 m di altitudine o in mare a 40 m di profondità. Mai con i piedi per terra. Costruisco geografie emotive dei luoghi in cui vivo e ho vissuto. Fotografa di professione, curiosa nel tempo libero. Ho imparato a mettere la mia vita dentro una valigia. Mi muovo come una piuma, l'elemento più resistente in natura. Papà italiano e mamma brasiliana hanno dato vita a un'inguaribile pesci.