‘Centropy’ | Deana Lawson E L’immagine Nera Che Conta

di Eric Otieno Sumba - Pubblicato il 24/06/2020

Ci sono almeno due cornici liminali che si presentano quando si guardano immagini di persone Nere. La prima è che fondamentalmente le immagini, in generale, e le immagini dei Neri, in particolare, ci ricordano che indipendentemente da quanto sia avanzata l’attrezzatura, la creazione di immagini è sempre un movimento tra luci e ombre. La tecnologia nata per produrre immagini, dal canto suo, ha intenzionalmente ignorato dei particolari tecnicismi legati al fotografare la melanina. E lo storico pregiudizio razziale della fotografia ancora oggi è un problema.

Se sia un pregiudizio consapevole o meno, il dibattito è in corso. Tuttavia sappiamo che a seconda del dispositivo, il riconoscimento facciale si perderà qualche faccia nera, e che provare a farsi un selfie di famiglia, in cui ciascuno dei membri ha un colore di pelle diverso, può rapidamente trasformarsi in una lunga caccia all’illuminazione perfetta. Ma anche qui, la tecnologia fotografica ci sorprenderà per il modo in cui rappresenta arbitrariamente determinate sfumature di pelle, motivo per cui essere fotografatoo raffiguratoin una buona luce (letteralmente e metaforicamente) è stata l’eccezione, non la regola, per i Neri.

La fotografia è nata come una tecnologia del privilegio e uno strumento di potere: che è la seconda cornice liminale che si presta a qualsiasi lettura dell’immagine Nera. La fotografia e, non dimentichiamo, i fotografi hanno prodotto immaginari che influenzano ancora il modo in cui i Neri vedono se stessi, così come i fotogrammi che la fotografia contemporanea adotta nel raffigurare la Nerezza: lo sguardo è ancora reale. I Neri si ritrovano ancora oggi in quel processo di rivendicazione dell’immagine Nera in un mondo in cui è ancora più facile vincere premi grazie all’immagine di Neri se sei un fotografo bianco.

In questo senso, l’artista congolese-norvegese Nicole Rafiki chiede: “Avete mai pensato a quanto siete privilegiati per il fatto che possedete un dispositivo che potete usare per creare una memoria visiva di voi stessi e della vostra vita?” La sua domanda è particolarmente empirica, soprattutto se pensiamo alla produzione di immagini di Neri nella storia, in quanto ci spinge a essere consapevoli dell’archivio che stiamo costruendo, del carattere necessariamente documentaristico delle immagini che realizziamo, o permettere che siano costituite di noi.

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Deana Lawson, Vera, 2020 – Courtesy of the artist e Sikkema Jenkins & Co., New York

Per Frederick Douglass, che fu schiavizzato, la sua immagine di uomo libero era la chiave per riaffermare la sua umanità e la sua politica, motivo per cui alla fine diventò l’americano più fotografato del XIX secolo.

Basandoci sul suo lavoro, la cui firma è immediatamente riconoscibile, Lawson appartiene a breve elenco di fotografi (tra cui Liz Johnson Artur e Zanele Muholi) che nel loro impegno per l’immagine Nera, sia come documento che come archivio, hanno dato vita a uno stile distintivo. Nata nel 1979 a Rochester (NY), Lawson viene da una famiglia per la quale la fotografia è stata a lungo un mestiere, una fonte di sostentamento o, a intermittenza, entrambi. Suo padre, il fotografo di famiglia, lavorava per Xerox, e sua madre per Kodak, a Rochester, New York, dove è cresciuta Lawson. Sua nonna faceva la donna delle pulizie nella casa di George Eastman, che ha inventato e reso popolare l’uso della pellicola.

Tuttavia, la sua impareggiabile dedizione alla resistenza visiva come contro-archivio dell’errata rappresentazione dei Neri nella fotografia è completamente sua, avvalorata dal modo in cui non solo trova, ma riesce a convincere totali estranei a posare per lei, spesso nelle loro case e in una posatezza molto intima. Inizialmente, c’è la presenza o lo stile di qualcuno, una curva del corpo, una cicatrice facciale o una pettinatura che attirerà l’attenzione di Lawson. In questi sconosciuti, la fotografa riconosce ciò che chiama “esseri divini”: a New York, in Giamaica, in Brasile, o in qualsiasi altro luogo in cui la diaspora africana irradi o venga esiliata in un dato luogo.

Lo stile di Lawson è una forma di fotografia documentaria in cui si incontrano la storia dell’arte, la ritrattistica, riferimenti culturali neri e una nascente critica delle eredità coloniali. Per la sua attuale mostra alla Kunsthalle Basel, la più grande mostra istituzionale del suo lavoro fino ad oggi, Lawson presenta nuovi lavori, tra cui un corpo di fotografie su larga scala, ologrammi, film 16mm, un video e diverse installazioni di piccole immagini istantanee, alcune stampate su specchio e delimitati da specchi incastonati di cristalli.

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Deana Lawson, Axis, 2018 – Courtesy of the artist and Sikkema Jenkins & Co., New York

Le sue immagini emanano presenza, per via della loro scala, la maggior parte delle quali supera un metro di larghezza. Conducono l’osservatore negli intimi spazi domestici che narrano, e allo stesso tempo rendono omaggio assoluto alle persone raffigurate. “Dèi che camminano nel quartiere inosservati e disonorati”come scrive Zadie Smith sui soggetti di Lawsonimprovvisamente sono al centro dell’attenzione a Basilea: dèi della classe operaia, che lavorano nei fast-food, divinità che lucidano scarpe e puliscono pavimenti, che riempiono le celle delle prigioni americane in modo sproporzionato. Il cubo bianco fa il resto del lavoro necessario per creare quell’aura benedetta che solo i quadri della nobiltà erano soliti sprigionare.

Centropy risuona in modi particolare nel nostro tempo presente. Se l’entropia descrive il modo in cui le cose si dissolvono nel caos, la “centropia” indica il contrario: l’elettrificazione della materia che porta alla rigenerazione creativa, che fondamentalmente è al centro dell’immagine Nera reclamata, sulla quale Lawson ha costruito la sua carriera.

Centropy è in mosta a Kunsthalle Basel , Basilea, fino all’11 ottobre 2020

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Immagine di copertina | Deana Lawson, Chief (2019) – Per gentile concessione dell’artista e Sikkema Jenkins & Co., New York

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Sono uno ricercatore e studioso di decolonialismo. Lavoro sull'intersezione tra giustizia sociale, politica, economia, arte e cultura. Amo leggere, ballare, andare in bicicletta e il capuccino senza zucchero.