Black Panther | Ecco Perchè Dovete Vederlo Se Ancora Non Lo Avete Fatto

Black Panther è un personaggio da record: primo supereroe africano a fumetti, primo supereroe africano protagonista al cinema, per non parlare dei record di incassi variamente misurati (lo scorso week-end ha raggiunto $700 milioni).
Il film di Ryan Coogler è l’ennesimo cinecomic del Marvel Cinematic Universe, la realtà parallela ora controllata dalla Disney, in cui si incrociano numerose storie di supereroi, la maggior parte dei quali già note al grande pubblico attraverso fumetti originali, serie tv, cartoni animati, e opere cinematografiche precedenti.
Re T’Challa però non è un personaggio famoso quanto Bruce Wayne (Superman) o Peter Parker (L’Uomo Ragno); o ancora Tony Stark (Iron Man). Il film sulle sue origini doveva essere più originale del solito, facendo contemporaneamente conoscere e amare una personalità (e un’intera nazione!) sconosciuta a molti. Contemporaneamente si accompagnano le letture politiche della storia del film, della sua realizzazione, e così via, perché Black Panther è appunto, evidentemente, orgogliosamente africano, black: nei personaggi, nella storia, nel cast, nello staff, e allo stesso tempo è una proposta di massa.
Il Regno di Wakanda è uno Stato immaginario che riunisce da secoli diverse tribù, legate da un patto interno per proteggere una risorsa naturale dall’avidità delle altre nazioni. Questa risorsa è il vibranio, un metallo dalle caratteristiche straordinarie, su cui si fonda la ricchezza tecnologica del piccolo stato, capace di nascondersi agli occhi del mondo e passare per un regno simile all’odierno regno del Lesotho (Sudafrica). Questa chiusura significa anche freddezza verso tutti i problemi che affliggono i popoli, sia vicini sia lontani, per la diaspora (forzata). Eppure, grazie ad ambasciatori, spie e studi all’estero, i Re sanno benissimo cosa succede nel resto del mondo. Vivono un afrofuturismo senza panafricanismo. Ed è proprio questo il conflitto che T’Challa è chiamato a risolvere.
Già come abitante del regno, per di più nobile, T’Challa è un eroe privilegiato. Dopotutto la perdita del padre in età adulta è un momento doloroso ma normale—mentre i già citati Batman, Spiderman e Iron Man sono orfani dalla gioventù. Ed è vero che prima dell’incoronazione bisogna affrontare un combattimento rituale, senza i superpoteri donati dalle erbe di Wakanda o le armi ipertecnologiche, ma cosa rischia di perdere T’Challa, qual è il vero conflitto o il vero nemico di Black Panther? Il mondo esterno, dai trafficanti di vibranio ai profughi che il Regno sceglie di ignorare? Non esattamente. L’avversario di T’Challa si rivelerà una vera e propria personificazione delle tensioni interne ed esterne al Re, alla sua nazione, addirittura a tutta la comunità nera. Lo scontro fisico e le battaglie saranno una diretta conseguenza di visioni del mondo differenti, e se alla fine il Bene trionferà, sarà proprio perché non appartiene già e soltanto all’eroe e al suo schieramento, ma verrà raggiunto dopo il conflitto, in un processo di crescita che integra le visioni del mondo di più personaggi.
Per quanto riguarda la nostra realtà, fuori dal Marvel Cinematic Universe, Black Panther è già una pietra miliare e un evento rilevante. Non è semplice valutare la vena politica di un film di per sé fantapolitico, né si può considerare attivismo una produzione mainstream, ma allo stesso tempo è impossibile ignorare l’ingresso prepotente di un immaginario nero, afrofuturista e panafricanista nel panorama generale.
Le tribù del Regno di Wakanda sono palesemente ispirate a diversi popoli africani reali nei costumi, nelle acconciature, nell’organizzazione militare (al punto che qualcuno parla comunque di appropriazione culturale, anche se il film stesso in un certo senso affronta la questione al proprio interno).

Contemporaneamente sono proiettate in un’utopia piuttosto indipendente dagli stereotipi o dalle rappresentazioni monotone che il cinema ha spesso offerto dell’Africa, aprendo un ampio spazio alla diversità nel genere fantasy e nella fantascienza popolari, laddove almeno nell’underground ciò non è nuovo. Il tutto con una coralità dei personaggi e una buona attenzione alle figure femminili, senza le quali l’eroe non salva nessuno, la cui opinione diventa fondamentale per guidare il protagonista, e che hanno una personalità propria ed un ruolo attivo nello sviluppo della storia. Basti pensare alle Amazzoni del Dahomey (l’attuale Repubblica del Benin), esistite nel XIX secolo e addestrate per garantire la sicurezza del re. Solo la legione straniera riuscì a sconfiggerle.
Re T’Challa potrebbe persino essere considerato meno interessante, sia della sua nemesi maschile sia delle sue compagne di avventura Nakia (la sua amata, spia e attivista del regno), Shuri (la sorella minore, pungente e ancor più geniale) e Okoye (a capo della guardia reale, tutta al femminile).
In effetti è un ulteriore merito quello di coinvolgere in questa nuova storia tutto il pubblico generalista, che spesso si dimostra molto meno conservatore e più aperto di quanto non lo creda o non lo sia l’industria cinematografica stessa, sicché Black Panther sta ormai superando i record di incassi degli stessi campioni Marvel, per i quali si è già notato come il pubblico fosse in teoria più preparato e affezionato.
Non si può pretendere un cambiamento sociale non meglio definito grazie a questo film, ma neppure si può nascondere che rappresenta dei cambiamenti: offre dei momenti di immedesimazione più inclusiva, celebra e normalizza il corpo nero in tutte le sue declinazioni (estetiche, stilistiche, linguistiche) offrendogli inoltre un ruolo di protagonista attivo, fautore e responsabile di un miglioramento sociale, e non passivo, come la narrativa dominante ci ha abituati a vederlo e vederci. Inoltre, nasce dal lavoro di artisti impegnati, come il regista Ryan Coogler e l’attore Michael B. Jordan, già insieme, prima di Creed, per Fruitvale Station (storia vera di Oscar Grant, ennesima vittima nera della polizia).
E che dire delle musiche? Menzione speciale per la colonna sonora, raccolta in due progetti distinti. Uno è quello del compositore svedese Ludwig Göransson, fedelissimo di Coogler, accompagnato dal musicista senegalese Baaba Maal nella scoperta di musiche tradizionali su cui basare l’ambientazione sonora della pellicola. L’altro è il vero e proprio hip-hop album diretto da Kendrick Lamar insieme a collaboratori come SZA, Vince Staples, James Blake, Future e The Weeknd.
Per questi motivi Black Panther è un film ed un’operazione riuscita, un’occasione d’intrattenimento e, infine, anche di discussione stimolante che non potete e non dovete farvi mancare.
Nato a Roma, e dopo varie tappe arrivato a Milano, da sempre interessato sia di scienze sia di arti. Di fatto una persona molto distratta.