Biennale Venezia 2017 | La Pelle Di Carlos Martiel è Un Terreno Di Scontro

di GRIOT - Pubblicato il 09/05/2017
Expulsion, Quinta Biennale d'Arte di arte contemporanea di Salonicco, Grecia (2015)

Utilizzando il corpo, gli oggetti materiali, il tempo e lo spazio che ci circonda, l’artista, in ogni performance, si fa arte. E immedesimandosi nell’opera, dà vita alla propria creazione senza lasciare spiragli di distinzione tra sé e l’azione artistica.

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Punto di Fuga (Vanishing Point); Nitsch Museum, Napoli (2015) – (c) Amedeo Benestante via carlosmartiel.net

La performance, seppur nella sua dimensione effimera–al contrario di un dipinto muore una volta conclusa, a meno che non intervengano la fotografia o il video–lascia tracce nello spazio e talvolta, nelle azioni più violente, lascia segni anche sul corpo.

Il giovane artista cubano Carlos Martiel porta addosso cicatrici di queste azioni, dove la soggezione del corpo è al centro delle sue performance.

Sdraiato in posizione fetale e cosparso di insetticida; anestetizzato e disteso su una barca mentre questa va alla deriva; coperto di fango e bastonato da un gruppo di persone; in piedi, al centro di una sala, con fili di lana cuciti sul suo corpo e attaccati ad un muro.

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Punto di Fuga (Vanishing Point); Nitsch Museum, Napoli, Italia, 2015 (c) Amedeo Benestante via carlosmartiel.net

Azioni artistiche crude e provocatorie che, inserendosi nel dibattito politico e sociale, denunciano il razzismo e la repressione, le discriminazioni e l’abuso di potere, la brutalità della polizia e la negligenza degli Stati nell’affrontare la crisi migratoria.

Contraddizioni dell’essere umano che oltre a strappare il tessuto sociale–creando ferite e cicatrici difficili da rimarginare–penetrano nel corpo di Martiel, dove la pelle è il terreno di scontro di queste ingiustizie laceranti.

In Trophy, una performance presentata lo scorso luglio al Padiglione D’Arte Contemporanea di Milano, Carlos Martiel ha voluto denunciare il trattamento disumano del colonialismo e del neo-colonialismo, nei confronti delle popolazioni pre-colombiane e quelle latine.

Nudo, l’artista è rimasto disteso in posizione fetale, trafitto da una freccia sul fianco destro. Una freccia nella carne… Un’immagine che riecheggia quelle di San Sebastiano, e rimanda a sua volta, se si aggiunge il filtro “blackness” alla lente di lettura, a quella di Ali sull’Esquire.

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Trophy, Padiglione d’Arte Contemporanea (PAC), Milano (2016) – (c) Annamaria La Mastra via carlosmartiel.net

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Ma a differenza del martire e del pugile, Carlos Martiel è disteso e, benché trafitto, non è oggetto di persecuzione. Offrendo infatti il suo corpo in maniera quasi ritualistica, l’artista si è fatto portatore delle ingiustizie che affliggono le persone. Il corpo di Martiel – nero, ma universale – racconta i fallimenti dell’esistenza umana.

Da poco conclusasi la sua prima personale italiana, alla galleria Rossmut di Roma, Carlos Martiel ritorna in Italia – l’artista è tra i selezionati per il Padiglione di Cuba alla 57esima Biennale d’arte di Venezia (13 maggio – 26 novembre 2017.) Per l’occasione, venerdì 12 maggio Martiel realizzerà una nuova performance intitolata ‘Mediterraneo’.

di Theophilus Marboah

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Immagine di copertina Expulsion, Quinta Biennale d’Arte Contemporanea di Salonicco, Grecia (2015) – (c) Dimitris Mermigas

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