59° Biennale Di Venezia | Lettera Aperta:”Non è Il Nostro Padiglione Namibiano”

Come successe al Padiglione del Kenya nel 2013 e nel 2015, la Namibia è l'ultima vittima di un padiglione "dirottato" alla Biennale di Venezia, in cui persone che non hanno familiarità con i circoli artistici dei rispettivi paesi rivendicano obblighi di rappresentanza. Con una lettera aperta e una petizione, artistз e organizzazioni della Namibia stanno sfidando questa pratica problematica.

di GRIOT - Pubblicato il 09/03/2022

A chiunque possa interessare,

Questa lettera serve a spiegare le nostre preoccupazioni riguardo alla rappresentazione dell’arte visiva contemporanea namibiana alla prossima 59a Biennale di Venezia 2022. La 59a Biennale di Venezia si apre il 23 aprile e durerà fino al 27 novembre 2022.

Si tratta di uno dei più grandi eventi del calendario internazionale delle arti visive e riceve milioni di visitatori ogni anno. Ha una lunga storia di esposizione di arte contemporanea da tutto il mondo sotto forma sia di Padiglioni Nazionali che di eventi e mostre collaterali. La Biennale non è una fiera d’arte commerciale o un’esposizione turistica, ma un evento che porta con sé percezioni di prestigio simbolico e culturale, con più di cento anni di storia: “Porta con sé un profondo significato globale. (…) Arricchisce i nostri discorsi e articola la nostra raffinatezza come popolo–e come Paese–sia per noi stessз, che per il mondo in generale. Contribuisce molto per iniettare il mercato e il capitale culturale tanto necessari nelle nostre società”.

La Namibia, come molti altri paesi minori, non ha avuto una rappresentanza nazionale alla Biennale. Ciò è spesso dovuto alla mancanza di fondi per coprire le grandi spese associate all’organizzazione di un Padiglione Nazionale alla Biennale. Per molti di noi vedere artisti namibiani rappresentati in questo grande evento è un obiettivo. Tuttavia, mentre alcuni recenti articoli in vari media hanno annunciato “Il Padiglione namibiano debutta alla 59a Biennale di Venezia”, molti nella comunità artistica contemporanea della Namibia ritengono che sia un debutto poco concettualizzato e inappropriato, che ha una visione antiquata e problematica della Namibia e dell’arte namibiana.

Recentemente a Venezia ci sono stati alcuni padiglioni molto controversi, che dovrebbero offrire un monito alla Namibia. Ad esempio, una petizione internazionale relativa alla controversia sul Padiglione del Kenya nel 2013 e nel 2015 descrive come “un gruppo di persone ben connesse, che non hanno né la capacità intellettuale né creativa di rappresentare l’arte contemporanea del Kenya sull’arena internazionale, si stanno atteggiando al mondo come Padiglione del Kenya alla 56a Biennale di Venezia in Italia’. Lo spettacolo è stato soprannominato da un critico come una forma di “neocolonialismo come multiculturalismo”.

Quella che segue è una sintesi degli eventi che hanno preceduto l’annuncio di questo debutto, che è stato organizzato da Marco Furio Ferrario. Resta inteso che Ferrario è associato a una loggia che si trova nella Purros Conservancy, nel Kaokoland, nel nord della Namibia. Questo è il sito di molti dei cosiddetti “Uomini Solitari”, piccole sculture in metallo e pietra il cui produttore ha scelto di rimanere anonimo. Questi “uomini solitari” sono il soggetto di quello che sarà il Padiglione della Namibia, all’edizione della Biennale di Venezia di quest’anno.

Sono state sollevate serie preoccupazioni, dopo che persone e organizzazioni in Namibia sono statз informatз della prevista rappresentazione della Namibia alla Biennale di Venezia come partecipante nazionale. Ecco ciò che è stato rilevato:

1. Temi concettuali per l’esposizione problematici:
Questo corpus di opere, così come la mostra proposta che le riguarda, assume come nucleo concettuale l’idea di una relazione tra l’uomo e la natura. In questo contesto, in particolare, è altamente problematico, in quanto si impegna nella premessa storicamente razzista che i popoli indigeni in questa dicotomia sono percepiti come più vicini alla natura che all’umanità. Questo è stato usato per giustificare l’oppressione delle popolazioni indigene, etichettandole come ingenue e subumane. Il concept curatoriale di Ferrario, dalla sua proposta per il Padiglione della Namibia rileva: “L’ambientazione scelta è tale che solo due tipi di osservatorз possono incontrare le opere: le tribù Himba (che sono una delle poche tribù che vivono ancora in uno stato pretecnologico), e i pochi fortunatз e coraggiosi viaggiatorз che si avventurano alla scoperta del deserto (che appartengono per lo più a gruppi sociali contrari agli Himba, con stili di vita altamente tecnologici e urbanizzati)”. Da ciò risulta chiaro che il sentimento con cui Ferrario affronta questa mostra risiede nella dicotomia prevenuta e coloniale dell'”incivile” contro il “civilizzato”.

Questa dicotomia è esplicitata nella nota concettuale ancor più attraverso la discussione consapevole dellз “viaggiatorз coraggiosз“, evocando un’altra percezione del deserto e dellз suoз abitanti come cose che devono essere esplorate da chi ha le capacità per farlo attraverso i loro stili di vita “altamente teconologici”. Come discusso da moltз storicз e accademicз, questa è la stessa base ideologica che ha sostenuto l’espansione coloniale e l’occupazione di territori come la Namibia e lo sfruttamento della sua gente e delle risorse naturali.

2. Contributo artistico inappropriato:
Il Padiglione della Namibia, come proposto da Ferrario, sarà composto esclusivamente dalle sculture “Lone Men” (TR: “Gli uomini solitari”). Pur rimanendo ufficialmente anonimo e con lo pseudonimo di RENN, l’artista è noto pubblicamente come membro dell’industria del turismo. È in gran parte disconnesso dall’arte contemporanea e dalla scena culturale in Namibia. Non è stato possibile trovare scritti critici acclamati sul suo lavoro, e non ha esposto a livello di mostra personale, o in mostre collettive, alla National Art Gallery of Namibia, o, per quanto siamo a conoscenza, non è presente in nessuna collezione internazionale. Questo spesso è il criterio base per il calibro dellз artistз che vengono portati alla Biennale di Venezia; cioè hanno ottenuto il riconoscimento sia locale che internazionale, su piattaforme culturali e critiche legittime.

Ancora, nel gennaio 2022, tre mesi prima dell’effettiva apertura della Biennale, i membri del team di Ferrario hanno contattato alcune persone chiave a Windhoek, nel tentativo di trovare possibili artistз aggiuntivз per il Padiglione della Namibia. Questo è stato fatto nel tentativo di coinvolgere un artista di colore “secondario”, poiché è stato sottolineato che la Namibia rappresentata da un singolo artista maschio, bianco, fosse inadeguato. Mentre a questз altrз artistз è stato detto che avrebbero fatto parte del Padiglione della Namibia, per come lo intendiamo, la presentazione dei nomi di altrз artistз è già passata. Ciò significherebbe che questз artistз non potrebbero essere ufficialmente mostratз al proposto padiglione della Namibia. Non è quindi chiaro in questa fase come verranno mostratз gli artistз aggiuntivз, soprattutto perché non se ne fa menzione nel sito ufficiale, che è stato lanciato recentemente per il Padiglione della Namibia.

3. Mancanza di professionalità, esperienza curatoriale e conoscenza nel campo dell’arte contemporanea della Namibia:
A quanto ci sembra, un gruppo di persone dall’Italia, senza esperienza curatoriale a un livello rilevante fino ad oggi—per non parlare di un coinvolgimento significativo con l’arte della Namibia—ha intrapreso il concetto descritto per “rappresentare” la Namibia a Venezia. Quasi nessuna informazione è disponibile riguardo all’esperienza o alle credenziali di queste persone, o qualsiasi loro connessione con il mondo dell’arte locale che potrebbe forse giustificare la loro iniziativa come rappresentanti della Namibia in un evento di questo prestigio e scala.

Sulla base di diversi commenti e suggerimenti fatti nelle scorse settimane durante le comunicazioni con i membri della comunità artistica della Namibia e questo team, sembra anche che non siano consapevoli delle sensibilità legate ai temi decoloniali e intersezionali, specialmente in un era post-apartheid particolarmente carica, in cui gli sforzi per correggere le ingiustizie del passato sono fondamentali, quando ci si impegna in un progetto di questa natura.

Tutto ciò è particolarmente spiacevole, considerando che ci sono numerosз individuз e organizzazioni affermatз che sono totalmente investitз nella promozione delle arti visive della Namibia, che hanno solide competenze accademiche e tecniche in questo settore, che sarebbero in una posizione molto migliore per rendere giustizia a questo importante debutto. L’argomento secondo cui queste competenze devono essere esternalizzate allз stranierз è semplicemente falso e mina le competenze già presenti nel paese.

Molti altri paesi hanno una procedura per invitare a partecipare alle call per mostre alla Biennale di Venezia, un processo che in questa iniziativa avrebbe potuto includere voci più diverse e, soprattutto, namibiane. La National Art Gallery of Namibia è, ad esempio, un’organizzazione che avrebbe sicuramente dovuto essere coinvolta in questo progetto.

Sarebbe problematico soprannominare il padiglione come un “padiglione namibiano”, senza alcuna reale ricerca, comprensione, conoscenza curatoriale o persino partecipazione di artistз namibianз, oltre all’aggiunta dell’ultimo minuto per una mostra marginale che non fa ufficialmente parte del padiglione. Non abbiamo ancora avuto alcuna conferma che siano riuscitз a trovare un artista secondariǝ, o in quale veste quell’artista sarebbe statǝ espostǝ.

I Padiglioni Nazionali Conclusivi alla Biennale di Venezia devono essere approvatз dal governo del paese, per poter portare il nome del paese. Questa approvazione è stata ottenuta da Ferrario e dal suo team dal National Arts Council of Namibia, e Ferrario è stato ufficialmente nominato curatore del Padiglione Nazionale della Namibia dal Ministro delle Arti e della Cultura della Namibia, Ester Anna Nghipondoka.

Questo endorsement è stata una decisione presa con l’idea che avrebbe portato la Namibia su un palcoscenico internazionale a vantaggio del turismo nel paese. Sfortunatamente, riteniamo che questa decisione sia stata valutata con una lente molto ristretta, che promette di non portare beneficio alla comunità delle arti visive della Namibia, ma piuttosto allз pochз elettз coinvoltз in questa iniziativa molto isolata.

Il padiglione angolano, curato dall’architetta angolana Paula Nascimento e Stefano Rabolli Pansera, ha vinto il Leone d’Oro come miglior padiglione nazionale di tutti i paesi rappresentati. Il concetto curatoriale è stato sviluppato con grande cura nel corso di diversi anni e ha posto in un attento dialogo una generazione più anziana di artistз del paese con una generazione più giovane. Era anche la prima volta dell’Angola alla Biennale di Venezia.

Tuttavia, il nostro timore è che l’attuale proposta non venga paragonata a questo straordinario risultato, ma piuttosto agli scandali associati al Kenya. Nel 2015, il ministro della cultura del Kenya ha condannato pubblicamente il padiglione e i suoi organizzatori. Il Kenya ha ufficialmente cancellato il suo padiglione pochi giorni prima dell’apertura a causa della pressione dell’opinione pubblica e delle chiare indicazioni che la proposta non era rappresentativa.

Sulla base della sintesi delle questioni qui delineate, la nostra speranza è che l’approvazione da parte del governo namibiano di questa iniziativa possa essere ritirata. Ciò significherebbe che Ferrario e il suo team non sarebbero più in grado di partecipare alla Biennale di Venezia come “Padiglione Nazionale della Namibia” e, se ancora scegliessero di farlo, potrebbero partecipare come mostra indipendente/collaterale.

Sottoscrivi la petizione qui: change.org/p/national-arts-council-namibia-not-our-namibian

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