Beya Gille Gacha E L’arte Del Perlage

di Kelly Costigliolo - Pubblicato il 08/12/2018

Beya Gille Gacha è una giovane artista nata a Parigi l’8 Dicembre 1990 da madre bamiléké (etnia proveniente dall’ovest del Camerun) e padre francese. Fin da piccola si abitua ai cambiamenti, a viaggiare e a vivere all’interno di una famiglia molto grande, multiculturale e spesso in movimento: “Ho sempre amato vivere in comunità. Credo molto nel vivere insieme e cercare di oltrepassare quei limiti di intolleranza ai quali ci siamo abituati,” mi racconta durante il nostro incontro a Parigi.
Comincia a disegnare molto presto, ma la sua reale passione è da sempre la scrittura. Finiti gli studi in arti visive al “Lycée d’Art Appliquée” si rende conto del suo talento per le arti plastiche. A soli 19 anni, nel 2009, espone per la prima volta all’interno di una collettiva di artisti intitolata Africanska Penslar (Stoccolma, Svezia). Nello stesso anno, durante un viaggio nel Grassland, Camerun, scopre  dei corsi di perlage organizzati dalla onlus fondata dalla zia e comincia a fare le sue ricerche sulla produzione di sculture rivestite di perle.

Nel 2011, per seguire la sua passione per la storia dell’arte, si iscrive a “L’Ecole du Louvre” dove resterà per due anni e nel 2013 dá vita a NEFE, un’associazione nata per promuovere il lavoro di diversi artisti contemporanei e organizzare esposizioni collettive.

Gacha crea volumi, modellando e andando a caccia di oggetti e materiali reciclati con il quale affronta tematiche sociali legate all’identità, senza cadere forzatamente nel comunitarismo.

Come Luigi XIV ricopriva le sue statue d’oro, nel mondo contemporaneo la Gacha si riappropria, interpreta a modo suo l’antica tecnica del perlage, un’arte ancestrale presente in varie culture e paesi dell’Africa, tra cui la Nigeria, il Camerun e il Sud Africa, che consiste nel rivestire di perle oggetti di arredamento ed artigianato locale. Simbolo di ricchezza, potenza e forza, si narra che durante il commercio triangolare e la tratta degli schiavi queste venissero usate come merce di scambio, ma per la Gacha assumono un altro valore, quello di difendere e celebrare la dignità e la ricchezza di ogni essere umano, senza tralasciare la connotazione puramente estetica.

Tra le sue prime opere troviamo delle mani e delle braccie esposte nel 2017 alla fiera parigina di arte contemporanea AKAA.

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Beya Gille Gacha, Tends la main

Tra gli artisti emergenti dell’ultima Biennale di Dakar, curata da Salimata Diop, il suo lavoro di recente è stato molto apprezzato anche a Roma, alla Galleria Nazionale di Arte Moderna, museo nel quale ha esposto una delle sue opere più significative, la Venus Nigra, durante la collettiva curata Simon Njami I is An Other /  Be the Other – Io è un Altro / Essere l’Altro.

L’opera, composta da 100.000 perle, è un corpo di Venere che esce dall’acqua, allegoria femminile ispirata dagli originali romani e greci, e rappresenta la bellezza della donna anche quando amputata o acefala, e per la prima volta nella storia dell’arte rappresentata da una donna nera.

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Venus Nigra (2017), Beya Gille Gacha

A differenza di altre opere più datate e ben conservate, nonostante l’apporto abbondante di resine molto chimiche (è il caso de La Reine de Bansoa custodita al Musée du Quai Branly di Parigi), Gacha nei suoi lavori utilizza resine naturali che rendono le opere più realistiche.

Alla scorsa edizione della Biennale d’Arte Contemporanea di Kampala, Uganda (giugno-settembre 2018), ha preso parte alla sfida collettiva tra studi partecipando, in qualità di apprendista, al master dell’artista camerunense Pascale Martine Tayo con tema il gioco degli scacchi. Per l’occasione ha creato un’installazione formata da quattro tombe ricoperte di piastrelle, usanza comune in vari paesi africani, ognuna delle quali rappresentava una scena impersonificata da dei volti in liquefazione.
griot mag biennale _kampala Beya Gille GachaNella prima tomba sono rappresentati gli uomini, le donne e i bambini. Nella seconda mancano gli uomini, i capo famiglia. Nella terza troviamo bambini soli e abbandonati dagli uomini, che se ne sono andati. Nella quarta ed ultima tomba rimangono solo delle donne, a sostenere tutta la famiglia.

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Foto di Baptist Sekubulwa – Courtesy of the artist

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Immagine di copertina | Foto di Dana Ozolappa

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Su un aereo a 12.000 m di altitudine o in mare a 40 m di profondità. Mai con i piedi per terra. Costruisco geografie emotive dei luoghi in cui vivo e ho vissuto. Fotografa di professione, curiosa nel tempo libero. Ho imparato a mettere la mia vita dentro una valigia. Mi muovo come una piuma, l'elemento più resistente in natura. Papà italiano e mamma brasiliana hanno dato vita a un'inguaribile pesci.