Betty Boop & Baby Esther | Uno Dei Peggiori Casi Di Appropriazione Culturale Della Storia

Icona cinematografica e prima sex symbol animata della storia, Betty Boop è uno dei personaggi dei cartoni animati più cari a pre-millennials e baby boomers. Come dimenticare la Betty—rigorosamente in bianco e nero—di Chi ha Incastrato Roger Rabbit che, nel ruolo di cameriera sconsolata, grida “Sigari! Sigarette!” prima di annunciare la performance mozzafiato di Jessica Rabbit al fantastico Bob Hoskins nei panni dell’investigatore privato Eddie Valiant? E chi di noi, specialmente donne della Gen X, non ha mai sfoggiato almeno un quaderno, astuccio o zaino dell’unica e inconfondibile Betty?
Creata negli anni Trenta da Max Fleischer, Betty Boop è un’icona che, nonostante il calo di popolarità specialmente tra i più giovani, (r)esiste ancora oggi e rimane sia a livello storico che sociale uno tra i personaggi più interessanti del mondo del cinema animato. Tuttavia, quella di Betty Boop è sempre stata una figura molto controversa per molte ragioni, in primis la sua femminilità prorompente, che anche se per l’epoca può sembrare un forte simbolo di empowerment e autodeterminazione femminile, in realtà mette inequivocabilmente in luce la logica di una società sistemicamente patriarcale e misogina—basti pensare ai continui tentativi di quasi tutti i personaggi maschili (inclusi gli animali) di sbirciare sotto la sua minigonna. In vero, il grande successo di Betty Boop a partire dal suo debutto nel 1930 in Dizzy Dishes, è proprio dovuto al suo look accattivante: tacchi alti, vestiti succinti e giarrettiera sempre in vista, anche se in questa prima versione è raffigurata come un barboncino che probabilmente si rifaceva alle sembianze dell’attrice Helen Kane.
Betty Boop fu resa umana solo nel 1932, infatti figura per la prima volta con il suo aspetto iconico nel cartone Any Rags (1932), ma nel 1934 il look sexy che l’aveva resa famosa fu fortemente condizionato dal National Legion of Decency Production Code, un regolamento che limitava i riferimenti sessuali nell’industria del cinema animato. Così la fama del suo personaggio—ora quello di una donna in carriera non sposata con un amante di nome Freddy—iniziò il suo declino per tornare in voga solo negli anni ‘80 grazie a cameo come nel film di Zemeckis, e grazie al successo commerciale del marchio Betty Boop.
Tuttavia, il vero fun fact—anche se sarebbe meglio chiamarlo scandalo—delle varie vicende legate al personaggio di Betty Boop non è solo legato alle sue sembianze, ma soprattutto al suo inconfondibile baby style caratterizzato dalla frase “Boop-Oop-a-Doop”, uno stile inventato da una cantante jazz nera di Harlem di nome Esther Lee Jones, nata Gertrude Saunders in arte Baby Esther, che negli anni ‘20 si esibiva in vari locali di Harlem, tra cui il Cotton Club.
Quando nel maggio del 1932, Helen Kane denunciò Max Fleischer e la Paramount Publix Corporation per aver deliberatamente creato una caricatura che sfruttava la sua personalità e la sua immagine, le cose non andarono come l’attrice aveva previsto, poiché grazie alla testimonianza dell’ex-manager di Baby Esther, Lou Bolton, durante il processo, fu dimostrato che la stessa Kane aveva copiato il baby style da Baby Esther dopo averla vista esibirsi all’Everglades Club di Broadway nell’aprile del 1928. Secondo Bolton, Baby Esther debuttò con il suo particolare baby style proprio nel 1928, dopodiché Helen Kane adattò i suoni scat che aveva sentito utilizzandoli in Poop Poop Padoop, nel musical Good Boy, e in I Wanna Be Loved By You, canzone che la rese famosa in tutto il mondo in un batter d’occhio.
Nel 1930 Baby Esther fu scelta insieme a Josephine Hall per rappresentare gli afroamericani e gli Stati Uniti d’America durante un tour europeo, ma nonostante gli atti del processo, non ricevette alcun riconoscimento per aver avviato uno stile che artisti jazz di tutto il mondo coltivano da ormai un secolo. Oggi Baby Ester—una donna nera—è riconosciuta come la “nonna” di Betty Boop, ma la serie di cartoni che hanno reso famoso questo personaggio—e che preferiamo non condividere a causa degli orribili stereotipi che contiene—rappresentano a pieno l’arroganza della società razzista e sessista in cui Esther Jones è cresciuta e che l’ha derubata della maternità di uno stile tra i più influenti nella storia del jazz, in quello che è uno dei casi esemplari più di appropriazione culturale della storia moderna. Sapevatelo.
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Immagine di copertina | via Wikimedia Commons
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Sono una persona molto eclettica con un’ossessione per la musica e la sociologia. Nata e cresciuta in Italia, Londra è diventata la mia casa. Qui creo beat, ballo, canto, suono, scrivo, cucino e insegno in una scuola internazionale.