Before We Disappear | Asmaa Jama Archivia Le Realtà Dell'(In)visibilità

Frutto di una collaborazione multipla, intriso di poesia e carico di metafora, l'esperienza interattiva online affronta la (in) visibilità attraverso la metafora del fantasma "senza casa" .

di Enrica Picarelli - Pubblicato il 21/04/2021
Asmaa Jama, Before we disappear (2020), still video

Cliccando su “Enter”, Before We Disappear si apre con una ripresa dal basso di una casa circondata da una fitta vegetazione, apparentemente immune al vivido cinguettio e al chiacchiericcio che fanno da colonna sonora. La telecamera scivola sugli arbusti e le decorazioni sulla facciata, registrando a malapena la figura umana presente, vestita di un velo color crema dietro uno schermo di foglie e rami. I suoi lineamenti sono offuscati, è un rumore visivo. Un taglio e subito un primo piano di una maschera finemente decorata lasciata da qualche parte all’aperto. Si può quasi sentire l’odore della clorofilla nell’aria. Una melodia crescente accompagna la figura con il velo, ora completamente a fuoco, nell’ingresso e su per le scale. Poi, attraverso la soglia, si vede la parete di una piccola stanza rivestita di un mosaico. Questa casa vuota è un territorio familiare.

“Siamo ciò che resta” recita parte della breve introduzione che accoglie i visitatori sul sito Before we disappear. “Fà che questo sia uno spazio di riposo”, scrive Asmaa Jama, la poetessa somala, nata in Danimarca e di base a Bristol, che ha scritto e diretto l’opera nel 2020—un anno che ha ridefinito la nostra esperienza sociale—in collaborazione con Gouled Ahmed, Gebriel Balcha, Joseph Horton, Ibrahim Hirsi e Roseanna Dias. L’esperienza interattiva online cerca di cogliere le dinamiche di (in)visibilità attraverso la metafora del fantasma, che abita uno spazio che non è una casa. Lo fa dialogando con il pubblico, a cui viene chiesto quali sono le loro esperienze di visibilità e scomparsa. Ogni risposta—sì o no—porta a capitoli alternativi dedicati a ipervisibilità, condizione di assenza, integrità e alienazione. La figura mascherata appare ognuno di essi, indossando gli ornamenti sartoriali che catturano una percezione di sé scissa tra insignificanza e vistosità.

Altri tagli e appare una mascherata in tre atti. È la stessa figura. Si presenta in elaborati copricapi che ne nascondono l’identità: prima uno scialle, poi una morbida forma conica con elementi penzolanti simili alla paglia, e infine la maschera, fatta di cartoni del latte e decorata con perline e gemme. Una scena sorprendente cattura la figura mascherata, completamente illuminata nell’abbraccio della natura, l’abito bianco e la luce che ne fanno una sorta di angelo o un fantasma, un guardiano solitario di questo regno decadente.

Asmaa Jama, Before we disappear (2020), still video

In un’altra scena, il protagonista siede vicino a un tavolino apparecchiato per il tè sul prato di una casa di campagna, vestito con scarpe e completo nero. La figura mascherata è “arrivata”, ma la porta e le finestre sono chiuse. Una voce fuori campo la sollecita ad andarsene perché ha occupato troppo spazio, relegando le altre/gli altri nell’ombra. A differenza della figura transitoria, la casa è permanentemente, radicata. Quando l’accusa termina, la connessione viene interrotta e lo schermo si riempie di elettricità statica. L’ospite ha espulso il suo parassita, allusione a un’idea distorta di ospitalità che privilegia l’alloggio al riconoscimento, quest’ultimo pienamente concesso solo alla partenza: “Siamo Neri, migranti, proletari, transnazionali”.

All’estremo opposto c’è l’esperienza di sentirsi assenti, che il film visualizza come qualcosa di “quasi svanito”. La voce del mondo esterno è significativamente smorzata qui. Osserviamo il protagonista intento in un silenzioso monologo interiore (con sottotitoli), l’avatar di “una nazione quasi scomparsa” che occupa lo spazio senza abitarlo completamente, perché non visto e inascoltato, attraversando i muri, cedendo il proprio corpo all’acquosa incoerenza del vapore. Quando vediamo il riflesso della figura nel vetro della finestra, capiamo che si è mischiata con ciò che giace dall’altra parte, un grande albero, una presenza permanente. La maschera scintillante è visibile, ma la figura è diventata un’ombra.

Before we disappear è il prodotto di questi strani tempi di creazione e scambio di immagini ipertrofiche, in cui la salute mentale è spesso ricercata attraverso lo spettacolo di una socializzazione a distanza—chiamate zoom con famiglie isolate, lezioni di yoga online—mentre il benessere è estetizzato nelle qualità autoaffermanti dei selfie. Il lavoro è anche realizzato nel modello—frammentato, visivamente accattivante—di narrazione digitale mediata dall’immagine. Potrebbe essere un video musicale, un film di moda, una pubblicità o un film afrofuturista: un prodotto per il consumo di massa, ma che sfugge a tale classificazione. Lo stile dell’artista somalo Gouled Ahmed, basato ad Addis Abeba, è audace, sontuoso e unico, completando il design lussureggiante e massimalista dell’ambientazione e la colonna sonora atmosferica con artisti come Aweys Khamiis Cabdalla.

Asmaa Jama, Before we disappear (2020), still video

Eppure, nella sua essenza il lavoro interviene sull’esaurimento mentale che colpisce molte persone Nere e persone di colore in tutto il mondo. Before we disappear è stato realizzato per entrare nell’archivio visivo globale come un pugno, il tipo di lavoro affettivo stratificato che rispecchia la traccia persistente di disagio che segna i nostri tempi. Non è fatto per abbellire l’alienazione e mercificare il suo consumo visivo, ma per riunire una comunità unita dal dolore e per raccogliere testimonianze sia sul dolore che su come superarlo. “Questa opera vuole che tu interagisca con lei, spera di archiviare le tue storie,” scrive Jama. Alla fine del lavoro, si possono leggere le esperienze dei precedenti visitatori. Al di là della temporaneità delle immagini, un archivio anonimo realizzato con vulnerabilità sovversiva resiste nel tempo.

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Sono una scrittrice/traduttrice/ricercatrice e mi occupo di sostenibilità culturale e di comunicazione digitale. Dal 2014 raccolgo e amplifico testimonianze dall’universo africano della moda, e ho pubblicato su libri, giornali e riviste d'arte. Sono stata consulente culturale per la produzione del documentario RAI African Catwalk, girato alla Sud Africa Fashion Week, 2019.