AtWork In Africa | Sta Succedendo Qualcosa Di Strano

di GRIOT - Pubblicato il 02/06/2016
Denounce surrogacy, di Immy Mali - AtWork 03 (Kampala)

Succede che all’inizio di maggio, all’università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, va in scena Afrocult. Succede che sono presenti molte imprese creative che hanno a che fare con l’Africa. Succede che tra queste imprese creative, (fondazione) Lettera27 presenta il suo progetto, AtWork (e la sua prossima tappa ad Addis Abeba), creato insieme a Simon Njami, una delle menti più fini del continente africano e tra i più stimati curatori a livello internazionale di arte contemporanea.

Succede che Lettera27 e Simon Njami attraverso AtWork ribaltano l’equazione Africa = Assistenzialismo, svuotandola di quegli elementi visivi usati dai più (pozzi, scuole, povertà, denutrizione, guerre, malattie apocalittiche, violenze), sostituendoli con tre variabili diverse: Africa = Wokshop; Africa = Mostra d’arte; Africa = Community.

Succede che i partner locali con i quali AtWork collabora, si aprono e si confrontano con un sistema educativo lontano dall’insegnare concetti e teorie astratte. Succede che questo sistema, un workshop di 3-5 gioni, propone una forma di acquisizione della conoscenza che aiuta i giovani a pensare in maniera differente e ad uscire dalla loro comfort zone, liberi di interrogarsi in maniera collettiva e personale su temi quali identità, cultura, diversity, memoria, libertà, comunità.

Succede che questi ragazzi realizzano un taccuino personalizzato e alla fine del loro workshop co-curano, insieme a un leader, una mostra di lavori che incarna tutto il processo attraverso il quale sono passati.

Succede che con Adama Sanneh di Lettera27, senegalese-gambiano di pura fibra brianzola, parliamo di tutte queste cose, di quanto questo progetto stimoli il pensiero critico e il dibatitto tra giovani studenti d’arte e talenti creativi, contribuendo a fortificare (o creare) una nuova generazione di pensatori che domani guiderà il cambiamento.

Succede qualcosa di strano. Oppure no (?)

griot-mag-at-work-fondazione-lettera-27-Il mio taccuino cerca di mostrare tutte le situazioni imbarazzanti che mi trovo a dover affrontare per il fatto di essere una donna. La mancanza di speranza, le difficoltà, lo sconforto e l’indifferenza mi tormentano. Parlo di cose che succedono sempre, tutti i giorni, anno dopo anno. Non solo a casa ma ovunque io vada. Quando cammino per strada gli uomini si divertono a prendere in giro il mio corpo. Dicono che il mio sedere oscilla come grosse patate. Mi fermano anche quando non hanno niente da dire. La società mi ha collocata in un posto ben preciso e nel momento stesso in cui provo ad oppormi, cesso di esistere. E allora come posso definirmi? Ho un’identità? Lancio un appello, un invito a compiere un viaggio senza scarpe. Un viaggio verso un luogo dove il patriarcato è morto. Non esiste più. Un luogo in cui la mia identità viene ricostruita e riconosciuta.”

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Exxagerated Memories, di Marta Kanzungu – AtWork 3: Should I Take off My Shoes?

L’ostinazione ad evadere dai confini costruiti dalla società, dalle convinzioni e anche da noi stessi. Un dolore atroce, crisi di nervi, in cui ci si ritrova sotto pressione. Una ricerca per la libertà, nella visualizzazione del dolore come un’emozione che può essere toccata. Questo lavoro rappresenta una riflessione sul far riaffiorare esperienze personali del passato e l’inzio di una riscoperta.”

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Denounce surrogacy, di Immy Mali – AtWork 03 (Kampala): “Should I Take off My Shoes?

Il mio concetto ruota intorno alla comunicazione e a come le persone la ricevono e interpretano. È sempre stato difficile per me comunicare. Sempre fraintesa dagli altri, mentre io avevo chiaro in testa quello che volevo trasmettere. Ho scelto di raffigurare la mia frustrazione tagliando e scrivendo l’ecografie della mia risonanza magnetica e del mio elettroencefalogramma per dar vita a un nuovo “linguaggio,” lasciando i miei pensieri accessibili a tutti, sperando che ora possano capirmi.”

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Untitled, di Monia Sakr, AtWork (04) Cairo

Succede che AtWork è un progetto che aumenta la circolazione di idee, viaggia da paese a paese per poi uscire dal continente africano e dialogare con altri luoghi.

Come donne, il primo giorno di ciclo è il giorno in cui ci ritroviamo inequivocabilmente esposte al tempo. Inzia in un momento ben preciso e spesso diventa irregolare: il tempo viene stratificato e decostruito allo stesso tempo. Questo taccuino è la storia del nostro primo giorno di mestruazioni. Nostro, perchè è un momento di consapevolezza individuale quanto collettiva, di paura e vergogna del nostro sangue, ma anche di potere e forza.  La mattina in cui per la prima volta ho visto sangue sulle mie mutande ho deciso di nasconderle finchè non sono tornata a casa la sera. Ho cominciato a piangere e ho chiamato mia madre chiedendole aiuto: in quel momento, in maniera del tutto incosciente, ho compreso il mio ruolo di corpo femminile specifico.”

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7.6.2002, di Alice Mazzarella – AtWork (05) Modena

Succede che il capitolo 06 di AtWork si svolgerà a dicembre 2016 ad Addis Abeba in occasione del Addis Photo Fest, evento di fotografia creato dall’artista e attivista culturale etiope Aida Mulubeh, fondatrice del festival e a capo dell’organizzazione DESTA – Developing and Educating Society Through Art.

Succede che abbiamo ancora 25 giorni [aggiornamento: da oggi 17 giugno solo 8 giorni – sono stati raccolti € 9,968 dei € 15.000 necessari] per far sì che AtWork Addis Abeba veda luce, investendo dai 5 € in su attraverso la campagna KickStarter (Art) At Work.

Succede che noi investiremo su questo progetto e in più ci porteremo a casa una sincera gratitudine, o una borsa in cotone disegnata dai partecipanti con su scritto A calculated risk is not a risk, o una collezione dei taccuini delle tappe passate, o il taccuino disegnato dai Sigur Rós, o tanto altro ancora. 

Succede che anche voi potete investire. Il ritorno è troppo ricco per non farlo.

Immagine in evidenza | Denounce surrogacy, di Immy Mali

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