Attualità Senegalesi | Tiziana Manfredi: Dalla Videoarte Al Recupero Dei Cinegiornali D’archivio Di Dakar

di Johanne Affricot - Pubblicato il 27/02/2020

Tiziana Manfredi è una videoartista genovese che abbiamo conosciuto la scorsa primavera in Senegal, durante il tour in Africa subsahariana del nostro progetto artistico-culturale di danza contemporanea e videoarte Mirrors .

Dal 2011, dopo una serie di precedenti viaggi in Senegal, e grazie a una serie di lavori in ambito documentaristico e artistico, Manfredi ha deciso di trasferirsi in pianta stabile a Dakar, diventata la base dalla quale ha avviato altre collaborazioni nel continente.

Sono tanti i progetti che ha realizzato nel corso della sua carriera artistica, e ce n’è uno che recentemente ha catturato molto la mia attenzione: il recupero e la ricostituzione dell’archivio della cineteca senegalese, in particolare il restauro delle Attualità Senegalesi, cinegiornali prodotti e diffusi a Dakar tra la fine degli anni ’50 e gli anni ’80.

Abbiamo approfondito con lei questo viaggio nel tempo, che attraversa gli spazi del colonialismo e dell’indipendenza, dell’auto-rappresentazione e della definizione del sé, della riparazione, intersecandosi con altre tracce di memoria transcontinentale presenti nel suo ultimo lavoro teatrale di videoarte, When Birds Refuse to Fly.
Griot mag when BIRDS refuse to fly Tiziana Manfredi_GRIOT: Insieme al tuo partner di progetto, Marco Lena, volete avviare questo progetto di restauro di 400 filmati di notizie senegalesi degli anni ’60 destinati alla distruzione. Come è nata l’idea?

Tiziana Manfredi: Per essere precisi si tratta delle Attualità Senegalesi, in altre parole cinegiornali di durata variabile, prodotte dal Ministero della Comunicazione per informare il paese dell’azione del governo. Erano i notiziari destinati ad essere proiettati nei cinema, prima della loro diffusione in televisione. Le bobine hanno una datazione che va dalla fine degli anni ’50, quindi pre-indipendenza, agli anni ’80. Non erano destinate alla distruzione, ma dimenticate, per varie ragioni, e hanno rischiato questa sorte.

Il progetto di fatto è già avviato, e per il momento parliamo di recupero e ricostituzione dell’archivio della cineteca senegalese. Il restauro sarà possibile in un secondo momento quando l’archivio sarà nuovamente accessibile.

Ci siamo imbattuti in questo fondo per caso, nel 2009, e l’idea di investire in questa impresa è maturata negli anni, soprattutto anche grazie al dialogo con diversi professionisti del settore, compreso Hugues Diaz, direttore della cinematografia, che ci ha espresso il desiderio di trovare collaboratori per questo progetto.

Nel 2015 Marco Lena ha deciso di formarsi alla Sapienza con un master in restauro cinematografico, completando questo percorso alla cineteca di Tolosa, per poi lavorare successivamente ad un progetto di digitalizzazione al Centro Cinematografico Marocchino, tra il 2016 e il 2017.

Dopo la fine di questa esperienza, è rientrato in Senegal e abbiamo così ripreso i contatti con la direzione del cinema, per studiare insieme una strategia d’intervento, che a novembre 2019 ci ha permesso di attuare un’azione di recupero delle bobine rimanenti in uno stabile della vecchia sede del ministero.
griot mag Attualità Senegalesi cinegiornali restauro tiziana manfredi marco lena senegal dakarIl desiderio di questo progetto è cresciuto perché questo fondo di fatto è un patrimonio mondiale molto importante, ed è il patrimonio di un paese che ci ha accolto e che è diventato una seconda casa. In secondo luogo consideriamo il passato come una delle chiavi principali per capire il presente, soprattutto di fronte all’attualità nella quale siamo immersi anche in Italia, e della quale vediamo solo la punta dell’iceberg, per mancanza di reale informazione e di fonti storiche complete.

Che funzione avevano questi film nella società, oltre che informare le persone, il popolo?

Oltre ad essere un uno strumento di informazione e propaganda politica durante e dopo la colonizzazione, nel momento in cui le Attualità [Senegalesi] sono passate ad essere produzioni africane hanno assunto un valore maggiore, perché è da sapere che, come riporta la ricercatrice e amica Clementine Dramani-Issifou, in epoca coloniale, secondo il decreto legge Pierre Laval (1934), agli africani era vietato filmarsi senza ricevere l’autorizzazione del governatore della Colonia di competenza; il cinema era quindi uno strumento di propaganda per contribuire a costruire un’immagine caricaturale dell’Africa.

Quindi l’auto-rappresentazione diventa un atto politico, di autoaffermazione e di definizione identitaria, un gesto estremamente importante, carico di significato. C’è da considerare inoltre la forza vitale del popolo nero, repressa durante la colonizzazione, che nonostante ciò è sfociata in molte forme espressive.

Griot mag attualità senegalesi cinegiornali Tiziana Manfredi Marco Lena.jpg
Il restauratore cinematografico Marco Lena insieme a un tecnico di laboratorio – Foto di Tiziana Manfredi

Ho avuto la fortuna di assistere all’intervento di Christiane Taubira, ex ministra francese della giustizia, sul tema della riparazione durante l’ultima edizione degli Atelier de la Pensée organizzati dallo scrittore Felwine Sarr, al Musee des Civilisations Noires, e sento di aver partecipato a un evento storico molto importante. Tutta la sala si è alzata in piedi per la lucidità e la potenza del suo messaggio di cui condivido un estratto:

Il crimine è irreparabile, ma la riparazione rimane un diritto. La questione è politica, ci interroga su come costituiamo la società, come condividiamo il mondo. La questione è etica, interroga il nostro rapporto con la comunità umana, tutta intera, il nostro rapporto con la giustizia. La questione è ontologica, ci rimanda alla nostra natura umana, a noi poiché esseri culturali. Ma dobbiamo essere chiari con noi stessi, e sapere cosa diciamo sulla riparazione: l’unica riparazione è stata fornita da coloro che hanno sofferto.

[Frantz] Fanon ha detto: “Non c’e’ approccio più sterile per un oppresso di quello che consiste a fare appello al cuore dell’oppressore.” Cerchiamo di essere chiari, inutile fare appello alla compassione, all’empatia. Cerchiamo di essere chiari. Sappiamo che dobbiamo essere uniti. Dobbiamo prima di tutto unirci per poter affrontare tutte le tragedie umane. Perché tutte ci riguardano direttamente. Far divenire il passato la Storia è nostra responsabilità collettiva.

Edouard Glissant ci invita ad avere una visione profetica del passato: è un paradosso, ma non avremo mai la conoscenza esaustiva delle storie, delle devastazioni, della perseveranza, delle tristezze, delle gioie, delle resistenze.

[…] Un’intuizione su quella creatività che ha irrigato questo lungo periodo che spesso noi guardiamo come a delle tenebre infinite, ma che fortunatamente non erano solo dominazione e violenza, ma anche momenti di luce, inventiva, creazione, gioia. Queste persone amavano, cantavano, danzavano, perché era la suprema vittoria dell’umano.

[…] Quindi la riparazione […] Chi ripara chi?

Noi ripariamo, perché ci siamo dati i mezzi per amare la vita e vivere la vita. Perché diciamo di aver sublimato la disgrazia suprema, totale, assoluta. Ecco perché penso profondamente, intensamente, e lo dico serenamente: siamo sopravvissuti testardi, ostinati, pugnaci e siamo soprattutto dei magnifici resilienti. Della sofferenza ne abbiamo fatto un pozzo di empatia e un potere creativo. Siamo in grado, perché siamo già riparati, di riparare il mondo, i mondi e di riparare quelli che hanno bisogno di ripararsi.”

Queste immagini hanno quindi un valore inestimabile, proprio perché stiamo parlando di ricostruzione, e proprio perché stiamo ridiscutendo di questo passato parzialmente e erroneamente raccontato. Siamo riconoscenti e fieri di poter lavorare con Hugues Diaz e la direzione del cinema per riportare alla vita questa memoria.
Griot mag attualità senegalesi cinegiornali Tiziana Manfredi Marco Lena_

Di questo materiale, che è interessante sottolineare fa parte di un tesoro di 5.900 bobine, solo 400 esemplari sono recuperabili. Cos’ha provocato il deterioramento degli altri?

Soprattutto le condizioni di conservazione non adeguate. La questione della conservazione del materiale analogico è ormai una questione chiave ma che non è ancora stata considerata come un’urgenza per molte regioni del globo, anche se gli esperti e gli addetti ai lavori spingono sempre di più per far comprendere la necessità di azioni di salvaguardia.

Come dovrebbe funzionare il processo di restauro? Che fasi seguirà?

In prima fase è necessaria un’analisi del materiale filmico, che riusciamo ad effettuare grazie ad una tavola per visionare auto-costruita da Marco, e che permette la riparazione manuale delle perforazioni, affinché poi le pellicole possano essere lavate ed infine passate allo scanner per diventare archivio digitale. Il restauro riguarda una fase successiva, tramite l’intervento di programmi specifici.

Una volta restaurato cosa succederà a questo materiale?

Portare a termine il progetto significa ricostituire la cineteca nazionale senegalese anche con la ricerca di altri fondi presenti sul sia su territorio nazionale che internazionale. L’obiettivo è di rendere accessibile questa fonte storiografica e rimetterla anche in circolazione, grazie a proiezioni, conferenze, pubblicazioni ed esposizioni multimediali.

griot mag Attualità Senegalesi cinegiornali restauro tiziana manfredi marco lena senegal dakar_
Il restauratore cinematografico Marco Lena esamina una bobina insieme a un tecnico di laboratorio

Siete già riusciti a vedere qualche filmato?

Grazie ad un primo intervento apportato dalla Cineteca di Tolosa, che è stata la prima a manifestarsi nella volontà di essere partner di questo progetto, ci è stato possibile digitalizzare e quindi visionare quattro bobine, di cui due molto importanti. Di quello che è stato messo in salvo, ci sono innumerevoli altri titoli di opere interessanti, ma il valore di questo materiale è dato dall’importanza storica nella sua globalità. Da sapere, per esempio, che al Ministero della Comunicazione in quest’epoca lavorano nomi che sono poi diventati personaggi importanti del cinema africano.

Passando invece al tuo lavoro di videoartista: il tuo ultimo progetto teatrale è When Birds Refuse To Fly, uno spettacolo di danza per il quale hai curato le installazioni video. Lo spettacolo tratta il tema dell’attraversamento dei confini, mettendo a paragone le esperienze emotive dei neri americani nell’epoca del Movimento per i Diritti Civili del 1960 e quelle degli africani burkinabé subito dopo l’indipendenza, avvenuta nel 1960, del paese al tempo chiamato Alto Volta. Come è stato lavorare a questo progetto?

Questa è stata per me un’esperienza umana e professionale molto importante, grazie anche a un vero attraversamento di territori essendo un’equipe transnazionale (Burkina Faso, Francia, Italia, Stati Uniti). Si è sconfinato anche stilisticamente, abbattendo il limite tra danza e teatro. Olivier Tarpaga, originario del Burkina Faso, vive e lavora tra gli Stati Uniti e il suo paese d’origine. È danzatore, coreografo, musicista e docente al Lewis Center for the Arts e direttore dell’ensemble di musica africana al dipartimento di musica alla Princeton University. Il suo attraversamento dei confini lo mette in atto nell’integralità del suo percorso creativo e di conseguenza nella narrazione, infatti la pièce dipinge parallelamente le esperienze emotive della comunità nera americana durante il movimento per i diritti civili degli anni ’60 e quelle di Burkinabé, in seguito all’indipendenza dell’Alto Volta [nel 1984 il paese assume il nome di Burkina Faso], dichiarata appunto nel 1960.

Griot mag BIRDS refuse to fly Tiziana Manfredi_
Performance di danza contemporanea e videoarte When birds refuse to fly

Mi racconti di più sul lavoro che hai realizzato e la ricerca che hai seguito?

Lo spazio scenico è vissuto come spazio della memoria, uno spazio in continua mutazione, che si decostruisce e si ricostruisce come un insieme di moduli componibili, in cui corpi e immagini seguono e provocano questo mutamento, e allo stesso tempo evocano fatti storici chiave, talvolta tramite l’estetica delle foto di studio tipiche degli anni ’60, ma anche fatti emotivi portati da momenti ed immagini astratte, che suggeriscono un tempo sospeso e un territorio intimo nel quale il personaggio sta esistendo.

Ho iniziato con una ricerca a Ouagadougou [capitale del Burkina Faso], in alcuni archivi famigliari di quest’epoca chiamata “les années yéyé” delle grandi orchestre di cui il padre di Olivier, Richard Tarpaga, faceva parte. Ho avuto anche la fortuna di incontrare e ritrarre in video To Finley, uno dei cantanti della famosa orchestra Super Volta che ha contribuito, come altri gruppi, a scrivere le pagine dell’età dell’oro della musica.

Per la pièce, To Finley ha cantato acappella, nel vecchio teatro popolare voluto da Thomas Sankara, “Father Otis” omaggio a Otis Redding. West Africa e Stati Uniti in connessioni sonore. Questa potente musica degli anni post-indipendenza ha scosso un’intera generazione e in questo lavoro racconta, insieme ai corpi e alle immagini, l’energia dirompente di quegli anni.

Griot mag BIRDS refuse to fly Tiziana Manfredi
Performance di danza contemoporanea e videoarte When birds refuse to fly

Ho portato poi la ricerca in altri tipi di archivi, cinematografici e della stampa americana, per permettere lo spostamento transoceanico che avviene nello spazio simbolico del ring dello storico incontro del ’74 a Kinshasa “Rumble in the jungle”, che vide opporsi George Foreman a Mohamed Ali.

L’ideazione del set design per il video è stata elaborata con Olivier e Cyril Givort, il lighting designer, con delle riflessioni condivise affinché ci fosse una continuità tra tutti gli elementi presenti in scena: corpi, architetture mobili, luci, dove le immagini esistono come una memoria sospesa, che preme, incita, scuote e che fa esistere ancora questo passato.

Segui Tiziana su Instagram

Segui GRIOT Italia su Facebook, @griotmagitalia su Instagram Iscriviti alla nostra newsletter

Questo articolo è disponibile anche in: en

+ posts

Arti visive, performative e audiovisive, cultura, musica e viaggi: vivrei solo di questo. Sono curatrice e produttrice culturale indipendente e Direttrice Artistica di GRIOTmag e SPAZIO GRIOT, spazio nomade che promuove la sperimentazione multidisicplinare, l'esplorazione e la discussione.