Siamo Andati A Vedere BlacKkKlansman [Spoiler]

di Celine Angbeletchy - Pubblicato il 02/10/2018

Lo sappiamo tutti, lo sanno tutti: Spike Lee non le manda a dire e con il suo nuovo film, che abbiamo visto in anteprima a Londra qualche settimana fa, ha colpito nuovamente il segno. BlacKkKlansman finora è infatti il più potente statement cinematografico dell’era Trump, un film che espone l’assurdità che trascende la fantasia—fo’ real fo’ real shit” per dirla con le parole di Leeche per secoli ha definito la storia e la cultura degli Stati Uniti.
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La spiritosa commedia satirica ambientata negli anni ’70 narra la vera storia di Ron Stallworth, interpretato meravigliosamente da John David Washington e dalla sua gloriosa chioma afro, che si infiltrò con successo tra i membri del Ku Klux Klan con l’aiuto di Flip Zimmerman, un ufficiale di polizia ebreoe biancointerpretato dalla stella di Star Wars, Adam Driver.

Dopo essere stato spostato dall’archivio al dipartimento dell’intelligence, l’aspirante eroe idealista Stallworth risponde casualmente a un annuncio su un giornale e inizia una surreale corrispondenza telefonica con il capo della sezione locale del KKK, il Grand Wizard David Duke (Topher Grace), che vuole mettere “l’America prima” e renderla “di nuovo grande” [suona familiare?], infiltrandosi nella politica locale. Zimmerman diventa il vero alias sotto copertura di Stallworth, partecipando a riunioni e raduni, finendo per diventare ufficialmente un membro del clan.
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Il film è una lezione di storia costruita su differenze e contraddizioni, che traccia una linea tra passato e presente, dall’inizio alla fine. Nella scena inziale appaiono la bandiera confederata del celebre Via Col Vento ed estratti di The Birth of a Nation di D.W. Griffith (nota bene: film del 1915, baluardo del KKK, fu visto da Lee quando era un giovane studente di Fine Arts, su consiglio dei suoi professori che lo presentavano come esempio di innovazione cinematografica). Successivamente il regista si sposta sulle bellissime e luminosissime facce di studenti universitari neri che partecipano a un rally Black Power tenuto dall’attivista Kwame Ture (interpretato da Corey Hawkins) che parla dell’impatto del cinema sulla cultura nera, ad esempio Tarzan, il re bianco della giungla.

A quel raduno, Ron Stallworth incontra la protagonista femminile di BlacKkKlansman, la presidente dell’Unione degli Studenti Neri, Patrice Dumas, interpretata da una strepitosa Laura Harrier, e mentre il loro rapporto si sviluppa, Spike Lee coglie l’occasione per far luce sulle pietre miliari degli anni ’70gli anni della Blaxplotation
come Shaft, Super FlyCoffy.

L’audacia pedagogica di questo film è evidente, così come le paradossali giustapposizioni che enfatizzano il continuum nelle istanze dell’America del passato e dell’America contemporanea: il potere bianco istituzionalizzato contro il potere nero fai-da-te, la lotta per la libertà e l’uguaglianza contro l’auto-diritto, la polizia buona contro la polizia cattiva, e così via. Questi sono gli elementi centrali che inevitabilmente innescano una riflessione interna e portano i due personaggi principali a scoprire se stessi. Da un lato Ron Stallworth sperimenta la duplice condizione dell’essere un maiale (pig, un poliziotto) che ha un forte senso della giustizia e vuole fare la differenza all’interno del sistema, e allo stesso tempo si ritrova a essere un orgoglioso cittadino nero che sperimenta giornalmente il razzismo sul posto di lavoro da parte dei colleghi agenti di polizia; dall’altro abbiamo Flip Zimmerman che, dopo aver sempre rifiutato le sue radici ebraiche, inizia a riflettere sulla sua identità e alla fine la abbraccia per via del tempo trascorso con il KKK.
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Insomma, BlacKkKlansman, che ha ricevuto una standing ovation alla sua anteprima mondiale al Festival di Cannes dello scorso maggio, è un film sfrontato, da vedere, con il suo linguaggio che coinvolge e stimola, con la sua colonna sonora malinconica e un finale drammatico: la bandiera bianca e nera appesa al contrario che appare nella scena del rally del 2017 organizzato dai suprematisti bianchi a Charlottesville e il conseguente atttacco con la macchina in cui morì una manifestante.

Con questo film Spike Lee vuole sia provocare il pubblico, esponendo il sistema corrotto che ha protetto il movimento sovversivo del KKK nel corso degli anni, sia stimolarlo e promuovere una conversazione più reale sui temi legati alla razza che l’America sembra finalmente aver iniziato ad affrontare. E non avrebbe potuto scegliere persona migliore per produrlo e co-crearlo, Jordan Peele, l’attore, regista e autore di un altro prodotto culturale-cinematografico che ha lasciato il segno, Get Out.

Andatelo a vedere, spargete la voce e se volete saperne di più su questa storia che ha dell’incredibile, leggetevi il libro che il vero Ron Stallworth ha scritto nel 2014: Black Klansman.

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Sono una persona molto eclettica con un’ossessione per la musica e la sociologia. Nata e cresciuta in Italia, Londra è diventata la mia casa. Qui creo beat, ballo, canto, suono, scrivo, cucino e insegno in una scuola internazionale.