An Ode To The Ballroom | Appunti Sulla Lecture Di Lasseindra Ninja
Attraverso una lecture estremamente stimolante e divulgativa, l'iconica pioniera della scena ballroom, Madre Lasseindra Ninja, ha ripercorso la nascita del voguing e del ballroom nel contesto statunitense degli anni '70 e la sua evoluzione, esplorando, tra le altre questioni, come la scena possa diventare più inclusiva, in una conversazione con Eddy Coppet. L'evento è stato un invito a riflettere sul razzismo, sull'appropriazione culturale, sui limiti e sulle possibilità di inclusione nella scena ballroom europea e oltre.

“La ballroom è uno spazio per la resistenza. Uno spazio per lo slancio. Uno spazio per il confronto. Un luogo di musica potente. Perché noi siamo molto potenti,” afferma Lasseindra Ninja con tranquillità stoica, guardando il pubblico negli occhi, ma rispondendo ad Eddy Coppet, community organiser Queer, Nero ed Arabo di base a Roma, e moderatore dell’incontro tenutosi dopo la lecture di Lasseindra. Ciò che segue è una cascata di pensieri, analisi storiche e dichiarazioni oggettive e non edulcorate. Tutte cose che avevamo bisogno di sentire.

Lasseindra è una coreografa, un’artista e, soprattutto, una madre. È la madre della House of Ninja. Eredita e coltiva la cultura delle ballroom statunitensi e ha creato uno spazio del genere a Parigi, per le comunità trans, queer e razzializzate. Il suo lavoro come ballerina e performer è costruito sul pensiero panafricano e transatlantico. Lasseindra inoltre basa molto la sua pratica su un pensiero critico sulla danza collettiva, e le tracce e le reminescenze di questo pensiero nei corpi. Per rendere la conversazione più accessibile, Lasseindra posiziona e contestualizza storicamente la ballroom. Le ballroom nordamericane attuali germogliano da una cultura di resistenza delle comunità LGBTQIA+ Nere e latinoamericane, a partire dalle prime ball mascherate, organizzate durante il periodo del “Rinascimento di Harlem”. Questi eventi, e i corpi che li vivevano ovviamente, venivano considerati illegali al di fuori della ballroom. L’atto e la performance della ballroom mettono in discussione questioni di genere, razza (inteso nel senso socio-politico e costruito del termine) e classe. Tutto cio avveniva tra tra un salto e una caduta a terra dellɜ, una caduta improvvisa ma mai lasciata al caso. Il primo ball, come lo intendiamo oggi, non avverrà tuttavia fino al 1968. Fu organizzato da Crystal Labeija e Lottie Labeija, le quali avevano gareggiato in concorsi di bellezza e ball per anni, dovendosi costanmente confrontare con standard di bellezza eurocentrici e razzisti. Raggiunto un momento di saturazione, sentirono il bisogno di creare uno spazio per la loro forma dissidente di bellezza e soggettività.
Il momento di rottura e rigenerazione è catturato nel documentario The Queen (1968), in cui si vede Crystal lasciare la competizione. Poi affronta uno degli organizzatori, dicendo: “Ho il diritto di mostrare il mio colore, tesoro. Sono bella e so di essere bella.” Labeija era stanca di essere stigmatizzata dagli standard di bellezza eurocentrici. Pertanto, si ribellò allo sguardo esterno e deumanizzante che tali realtà perpetravano. Crystal decise così di concentrare le sue energie sulla sua comunità, centrandola all’interno della ‘fotocamera’. Concettualmente e coreograficamente parlando. Nelle sale da ballo, lɜ ballerinɜ emulavano rapide sequenze di pose fotografiche, per poi sfilare senza timore verso lɜ giudici.
Il sistema delle ballroom di Nerɜ e Latinɜ che germogliano da questo momento storico è più di una semplice competizione di danza. Era un sistema di accoglienza per “figlɜ” di tutte le età, bisognosɜ di rifugio e comunità. Era un sistema di supporto, diviso in case in competizione tra loro, per diverse categorie di performance. Case e madri/padri, invece di istituzioni e imperatori della bellezza. “Si, è vero che eravamo in competizione, ma c’era una categoria per tutte le identità. Le ‘houses’ erano una casa per tutte le persone LGBTQ+, non conformi al concetto di genere, e disposte a lottare insieme e a prendersi cura l’una dell’altra. Il lusso non era il risultato dello sfruttamento capitalistico, ma dell’impegno comunitario,” spiega Lasseindra.
“Eravamo una tribù di guerrierɜ e fuorilegge” come recita il poeta Essex Hemphill (Essex Hemphill, Ceremonies: Prose and Poetry, 1992).
In un sistema in cui le leggi opprimevano tali minoranze, patologizzando i loro corpi e le loro vite, la danza diventò una forma di affermazione di questo sé collettivo. Le teste rimanevano immobili, non importava quali movimenti folli e geroglifici facesse il corpo. I look erano impeccabili ed in continuo cambiamento. Ballare era terapeutico, e nonostante i riflettori alle volte si concentrassero su unǝ singolǝ performer alla volta, tale coreografia era il risultato di uno sforzo collettivo, e lǝ ballerinǝ dialogava con il pubblico. Alla chiamata dell’artista, una risposta.

Lasseindra Ninja ed Eddy Coppet guardano uno dei documenti video proiettati durante la lecture. SPAZIO GRIOT at Mattatoio, 22 giugno 2023, Roma. COURTESY SPAZIO GRIOT. Foto: Andrea Pizzalis
“Ironico che la danza / il mio biglietto per l’assimilazione / il mio modo di divertirmi / per poi conquistare l’accettazione da parte dellɜ bianchǝ/ che gli stessi passi siano ora il mio percorso verso casa“, dichiara Marlon Triggs, autore del documentario Tongues Untied (1989).
“Oggi tuttɜ vogliono fare vogue,” dice amaramente Lasseindra. Infatti, dagli anni ’90 il voguing e la cultura delle ballroom hanno attraversato diverse fasi sinusoidali di popolarità. Gli anni ’90 sono stati un momento di svolta, quando Madonna ha rilasciato il singolo Vogue e nelle sale esce Paris is Burning (1990), noto documentario di Jennie Livingston. La musica delle ballroom, con le sue voci echeggianti, dal suono metallico ed i bassi rimbalzanti, diventata popolare. “Tuttavia, ricordate, che voi siete ciò che siete grazie a noi.” –Lasseindra riporta la discussione alla realtà. “E ciò non riguarda solo la musica delle ballroom. Dalla House alla Techno, sono state le comunità emarginate negli Stati Uniti a inventare tali suoni.”
Eddy sottolinea la differenza di numeri nella partecipazione ai workshop di voguing tenuti da Lasseindra e la conversazione che è in divenire al Mattatoio-Pelanda. Lasseindra concorda con la sua osservazione, e aggiunge “Trovo anche io interessante come molte persone delle persone che sono venute alle mie lezioni di voguing questa settimana non siano qui per ascoltare una discussione che le aiuterebbe a capire la storia dietro di esso,” afferma, sottolineando l’importanza di posizionarsi correttamente quando si è interessatɜ a culture subalterne e oppresse. “È corretto prendere qualcosa da una cultura e non essere presenti quando le persone di quella comunità si presentano per raccontarsi?” Si pone la questione delle politiche che si celano dietro a un tale gesto e di come non informarsi inevitabilmente porti a sradicare una pratica culturale dal suo contesto e quindi inevitabilmente all’appropriazione culturale. “Non puoi sottrarre e prendere da una cultura, e poi non essere presente quando tale cultura si racconta. Si finisce inevitabilmente per non comprendere tale cultura e cambiare il significato delle pratiche di quest’ultima,” aggiunge Coppet.


Ciò non accade solo per il voguing, ma per qualsiasi cosa, in realtà. Anche il twerking è stato etichettato come un atto promiscuo quando praticato dalle comunità Nere emarginate, mentre in verità rappresenta una pratica anticoloniale di riappropriazione del corpo e ribellione agli standard vittoriani di comportamento. Allo stesso modo, persino il proposito di raccontare la storia di qualcun’altrǝ, come nel film Paris is Burning, è stata messo in discussione dall’attivista, educatrice e teorica culturale bell hooks, che ha sottolineato la differenza tra un documentario che analizza una comunità emarginata da un punto di vista esterno, spettacolarizzandola in modo antropologico, e un documentario che effettivamente mette in discussione e interroga la bianchezza (Is paris burning? – Black Looks: race and representation, 1992).
Eddy continua condividendo il disagio che prova negli spazi lgbtq+ italiani, spesso inacessibili e violenti per le comunità marginalizzate. Partendo dalla sua esperienza personale, Lasseindra sottolinea l’importanza di rispondere con quello che ci si sente e prendersi cura di se stessɜ. Che sia lottare in quegli spazi, o crearsene di nuovi. Senza dimenticare le storie rivoluzionarie su cui ci ergiamo. Questi eventi, pur sviluppando i loro concetti artistici e linguaggi unici, si sono affermati come veri fenomeni di resistenza contro-culturale e politica, ponendo l’accento su questioni di razza, genere e classe, ignorando i tifosǝ occasionalǝ. La cultura ballroom si ha come obiettivo quello di rigenerare e ricreare la vita, e proteggere le sue comunità. E come tale rimarrà.
RIFRAZIONI
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Scopri di più sulla partecipazione di Lasseindra Ninja a RIFRAZIONI
Visita Lasseindra Ninja e Eddy Coppet.
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Opero nel cinema, tra casting, sviluppo, ricerca archiviale e programmazione nell’ambiente festival. Il mio background è però legale, e mi ha permesso di sviluppare un metodo di analisi decoloniale che mi porto appresso nell'audiovisivo e nelle arti. Curo diverse piattaforme diasporiche, e per GRIOT sono una contributor.