Amazon Prim Racconta L’esperienza Diasporica Tra Italia E Brasile

di Sonia Garcia - Pubblicato il 11/03/2019

Amazon Prim è Juana Bel, DJ brasiliana stabile a Bologna, dove ha da poco cominciato il terzo anno di scienze politiche. Il progetto musicale è nato la scorsa estate, quando ha iniziato a caricare alcuni suoi mix su Soundcloud, anche se, precisa, ne registra molti da almeno 3 anni. Prima di Bologna ha vissuto a Roma, dove 5 anni fa si è trasferita con la madre da Brasilia, la sua città natale. È nella capitale che ha iniziato ad andare nei club e ad ascoltare musica elettronica, quindi ad appassionarsi al djing. Nel dicembre 2018 ha suonato per la prima volta a San Paolo alla clubnight locale Tormenta, che aveva fatto uscire un suo mix a luglio. Attualmente collabora con la clubnight romagnola Club Adriatico.

I suoi mix raccontano storie che riflettono il suo vissuto diasporico, tra America Latina e Italia, e in essi coesistono le molteplici influenze musicali che ha raccolto in questo percorso: pop, rock/stoner e club music da ogni parte del globo, spesso periferiche. “Il suo stile è un prodotto eterogeneo di influenze da tutto il mondo, vocals dai messaggi criptici e riferimenti sonori simbolici,” recita la descrizione del suo ultimo mix uscito per Salviatek, label e clubnight uruguaya con sede a Montevideo. “Ho fatto questo mix,” va avanti la descrizione, “con l’intento di creare un filo logico che potesse unire la discontinuità dei miei sentimenti riguardo la mia identità brasiliana, in questo contesto storico. Alla ricerca di un territorio dove identità differenti non si annullano a vicenda, ma coesistono integrandosi tra loro. È un’ode alla cultura Afro-Latina, immersa in un’atmosfera cibernetica, che prova a riflettere su temi come l’imposizione dei valori occidentali e l’iper-industrializzazione.”

Abbiamo parlato con lei di identità, influenze musicali, diaspora, Bolsonaro, sistemi oppressivi e relativi processi di guarigione.

GRIOT: Quando hai iniziato a suonare/produrre?

Amazon Prim: Ho iniziato 3 anni fa, mixando a casa per conto mio. Solo dall’estate scorsa però ho iniziato a mettere su Soundcloud i miei mix, con il progetto Amazon Prim. Da qualche mese ho iniziato a produrre qualcosa su Logic Pro, a giocare un po’ con i sample e sound collage. È una cosa recente, per adesso ho poche cose, soprattutto edit. Sicuramente voglio continuare a farlo e imparare altre tecniche di produzione.

Come si sono evoluti i tuoi interessi musicali, in Italia?

All’inizio ero molto legata alla musica suonata con gli strumenti—la ascolto ancora ogni tanto. Il mio primo contatto con il clubbing è stato a Roma, alle serate del Brancaleone con collettivi come Trust in Jungle e R.U.M, avevo circa 19 anni. Più andavo alle serate dubstep e drum’n’bass, più il mio interesse verso la musica elettronica aumentava. Avevo un’amica con i cdj a casa, è da lei che ho provato a suonare per la prima volta; la mia vera e propria ossessione con la dubstep e tutta la bass music, che ho tutt’ora, è nata lì.

Ad un certo punto mi sono dovuta trasferire a Bologna, e oltre alla vita da studente, la mia curiosità mi ha portato a scoprire l’esistenza di una scena clubbing che si estende fino a Ravenna, di cui Club Adriatico è la realtà più significativa. Posso anche parlare dell’Habitat, a Bologna, una serata con una curatela artistica collegata alla bass music inglese; mi ricordo di aver sentito Kowton, Peverelist, e più recentemente Pearson Sound. Posso dire che queste esperienze mi hanno fatto assimilare nuovi input, e quindi maturare a livello sonoro e artistico.
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Che influenze hai avuto quando vivevi in Brasile?

Da piccola ero molto esposta alla musica mainstream dei 2000. Stavo sempre dietro alle classifiche ufficiali, per vedere quali erano le nuove hit del momento. Britney Spears, Beyoncé, tutto l’r’n’b, l’hip-hop, reggaeton… mi leggevo tutti i Billboard internazionali. Avrò avuto 10 anni, e passavo il mio tempo a cercare quella musica. Quando sono cresciuta ho voluto staccare da questa immagine così pop. La cosa che fa ridere è che invece adesso mi piace tutto. Ho avuto una riconciliazione con il pop, attraverso il club, quando ho sentito come alcuni artisti riuscivano a riproporre questo tipo di musica dentro il loro universo. Prima dicevo “oh no, questo è mainstream, non mi piace”. Adesso non mi importa più: se mi va di mettere un pezzo pop in un mix perché ci sta bene, lo faccio. Non mi interessa mettere solo musica ricercata, perché so di essere anche una persona che si ascolta la radio, anche con una certa nostalgia di un certo periodo della mia vita.

Com’è nata la collaborazione con Tormenta e Salviatek?

Ho conosciuto Sarah Blue quando è venuta a Roma. Avevo da poco iniziato a mettere i miei mix su Soundcloud, e l’idea di fare uscire quello per loro è nata da quell’incontro. Gli altri ragazzi li ho incontrati a San Paolo, quando sono tornata in Brasile, lo scorso dicembre. Sono stati carinissimi. È stata davvero una bella festa, quella settimana si presentavano Uli K e Bonaventure. Tutto molto DIY, mi è piaciuto tantissimo. Tormenta è tra le più importanti rappresentanti della scena underground di San Paolo. Altri esponenti, come ad esempio Linn Da Quebrada, danno voce a una minoranza che attualmente è particolarmente fragile, specie con il governo di Bolsonaro. Tormenta più in generale rappresenta un luogo sicuro, dove tante persone possono ritrovarsi e fare festa. Per quanto riguarda Salviatek è stato tutto molto social. Oltretutto ho seguito la serie di mix che hanno fatto uscire negli ultimi mesi, e mi sono trovata molto in linea con la loro visione artistica e politica.

Definisci il tuo mix per Salviatek un’ode alla cultura afro-latina, la cui storia viene spesso silenziata in gran parte dell’America Latina, come nella diaspora. Che impatto ha avuto sul tuo percorso artistico rapportarti con i diversi tipi di razzismo, tra Brasile e Italia?

In Brasile la maggior parte della popolazione ha discendenza africana e indigena, come me, è la normalità, e il loro retaggio culturale non è visto come qualcosa speciale o da preservare. C’è un razzismo istituzionalizzato mascherato che è molto nocivo: abbiamo interiorizzato bene la storia dei colonizzatori. Penso anche che attraverso l’arte questo retaggio abbia modo di resistere, e allo stesso tempo dare voce a più cause sociali; per questo mi sono avvicinata così tanto ai circuiti artistici, sia in Brasile che in Italia.

Arrivando qua in Italia ho realizzato come il razzismo in Europa sia molto più brutale di quello che pensavo. A causa del colorismo, il colore chiaro della mia pelle mi salva dalla discriminazione che tante altre persone più scure di me subiscono. Nonostante ciò, qua per la prima volta ho visto che la gente mi trattava diversamente solo perché immigrata. Questa cosa mi ha reso molto più sensibile alle questioni razziali e migratorie, e mi ha spinto a stare sempre più vicina alle persone che stanno nella mia stessa condizione, per solidarietà e per offrire una rete di sostegno. Allo stesso tempo mi sono sentita un po’ isolata: a Bologna non c’è una grande comunità brasiliana, ma per fortuna la musica è ovunque, e con lei il pretesto per uscire e socializzare. I club, i festival, e i centri sociali per me sono punti di ritrovo e sostegno uniti da una passione in comune, indipendentemente dal colore della pelle.
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In base alla tua esperienza, quali sono gli effetti più concreti del governo Bolsonaro, nei confronti delle comunità marginalizzate (di ogni tipo) in Brasile?

Il governo Bolsonaro sta allineando le politiche interne del paese, con gli interessi degli Stati Uniti e dell’élite brasiliana, anche grazie all’appoggio dei militari, e questo costituisce una minaccia per ogni tipo di minoranza. Quando ho suonato con Tormenta, a Sao Paolo, era al governo da poche settimane, e una delle feste che hanno organizzato quella settimana era a tema guarigione e autodifesa. A un certo punto, all’inizio, si è formato un grande cerchio al cui centro la maestra ha iniziato a parlare della sua esperienza personale di cintura nera di taekwondo e donna trans, e della necessità di sapersi difendere in un sistema sessista e omofobo, come quello brasiliano. Si cercava proprio di ragionare su come continuare a esistere in un contesto di oppressione e dittatura, creando gli spazi adatti e sicuri per tutti, donne, POCs e LGBTQs. Posti dove ritrovarsi, divertirsi, ma anche informarsi. Vedo che in generale le comunità marginalizzate hanno molta paura, sono scoraggiate. Io, però, credo veramente nella dialettica, e spero che tutto ciò porti all’elaborazione di un nuovo tipo di opposizione, che possa costituire una resistenza ancora più forte.

Tornando al mix per Salviatek, ho empatizzato molto con la descrizione che hai dato, sulla discontinuità dei sentimenti nei confronti delle nostre identità. Penso che sia una costante dell’esperienza diasporica.

Anche io ne sono convinta. Da quando sono qua, sono tornata in Brasile due volte, la prima tre anni fa, l’ultima lo scorso dicembre. In entrambi i casi è stata un’esperienza strana: quando sono là non sono mai brasiliana al 100% ai loro occhi. Neanche qua sarei mai italiana.

Mi sono accorta che là tutti ormai vivevano le loro vite; era impossibile condividere certe difficoltà della mia esperienza in Italia… era difficile integrare costruttivamente tutto quello che stavo vivendo in Europa, con il mio passato in Brasile. Mi chiedevo, chi sono in realtà? Sono brasiliana, o sono questo insieme di esperienze nuove che ho avuto in Italia? Quello che faccio con la musica parte dalla necessità di trovare un posto a tutte queste mie esperienze, riferimenti e ricordi. Cerco di mettere insieme i pezzi e raccontare una storia, senza dare priorità a nessuna delle sue componenti. Non c’è un’esperienza che ha più importanza dell’altra, perché si arricchiscono a vicenda.

Da qui la volontà di guarire, fra le tante cose, da paradigmi monolitici di identità e appartenenza.

Certo, è quello che cerco di fare con la mia arte, con i miei mix. In particolare Napüne, il primo mix che ho caricato su Soundcloud. Ho trovato il mio personale modo di guarire grazie alla musica. In Italia, specie i primi tempi, ho attraversato fasi molto problematiche. Mi isolavo a casa ad ascoltare musica e mixare. Per questo ho chiamato quel mix Napüne, perché in lingua ticuna indica la parte dell’albero che, anche se tagliato, continua a germinare.

Mi interesso molto agli aspetti sociali e politici della realtà che mi circonda, e cerco di integrarli come posso nella mia arte. Spesso riguardano situazioni che mi coinvolgono più o meno direttamente, come la questione Bolsonaro, la globalizzazione, il colonialismo… cerco di ragionare su questi temi in maniera molto simbolica.

In questi anni a Bologna mi sono accorta che tira un’aria molto diversa da quella di Roma. Qua è come se le persone fossero più aperte, anche perché provengono da tantissimi posti diversi. È stato più facile per me trovare gente che avesse il mio stesso assetto mentale. Mi rassicura vedere che le nostre generazioni sono sempre più in movimento. Le frontiere diventano più malleabili, e non necessariamente ci dobbiamo ancorare ai vecchi valori, ma abbiamo la possibilità di creare qualcosa di nuovo. Siamo proprio in un altro momento storico, che ci porta a spostarci e a vivere in posti diversi. Ciò comporta che chi discende da questi spostamenti si ritrovi ad affrontare il lato problematico della propria condizione diasporica, ma è importante sapere che non siamo soli.

Quali sono gli artisti italiani che segui di più, in questa scena musicale?

Devo dire che ho tanto da scoprire ancora, è un lavoro continuo, ci sono tantissimi artisti italiani che non conosco e che potrei mettere nei prossimi mix. Non è una regola, ma cerco di rappresentare anche l’Italia. Negli ultimi mix che ho fatto ci sono tracce di Lorenzo Senni, Gabber Eleganza, Petit Singe, Sense Fracture e Still, ad esempio.

Segui e Ascolta Amazon Prim su Soundcloud

Immagini | Per gentile concessione di Amazon Prim

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Scrittura e musica sono i miei principali mezzi di comunicazione; quando ho da dire qualcosa la scrivo o la elaboro nel djing. Salvo un sacco di meme e trucchi su Instagram. Ho sempre caldo.