African Metropolis | Sì, L’Africa Sta Invadendo L’Europa, L’Italia E Se Stessa

Che l’Africa stia invadendo l’Europa e l’Italia (per non parlare di altri paesi) ormai è un dato di fatto. Un processo inziato da lungo tempo. Ma sta invadendo anche se stessa, forse più di tutti, visto che non si ferma l’inarrestabile forza creativa e artistica di un continente e di una diaspora che continuano a produrre cultura e conoscenza, che spingono ad alimentarsi di queste, a raccontarsi e a mostrarsi sotto una lente che evidenzia le sue potenzialità e ricchezze, senza dimenticare le contraddizioni, lacune, i freni (esterni e interni) al suo sviluppo.
E così anche il museo MAXXI ha deciso di spalancare le finestre di una stagione estiva-autunnale che con la collettiva African Metropolis, Una città immaginaria, (22 giugno – 4 novembre 2018) vede protagonista sì il continente, ma anche altri mondi, fisici e immaginari.
È quanto emerso ieri in conferenza stampa e alla preview della mostra, con una tavola rotonda che ha visto curatori e vari artisti in esposizione raccontarsi al pubblico e spiegare il loro concetto di metropoli e di Afriche. Un concetto che in questo contesto presenta strati di significato che superano la definizione di città “formale” fatta di architetture costruite, organizzate secondo regole urbanistiche, spostandosi su altri livelli in cui l’alternarsi di immagini e immaginari ci restituisce una visione più ricca ed elaborata della metropoli contemporanea.

La mostra, curata da Simon Njami e Elena Motisi, ha individuato cinque azioni metropolitane: il vagare, l’appartenere, il riconoscersi, immaginare, ricostruire. Cinque azioni che attraverso 100 opere di 34 artisti africani e della diaspora africana, diventano gli elementi di una città immaginaria, di un percorso che tra fotografia, installazioni, sculture, video e tessuti, consentono, a chi andrà a visitarla, di interpretare sia lo spazio fisico di una metropoli contemporanea, attraversato nel corso della nostra esistenza, sia quello mentale, definito dalle sensazioni e dalle emozioni risvegliate in noi.
Ci troviamo in un momento storico delicato, lo sappiamo tutti. Più che aperture a dialoghi costruttivi, ogni giorno che passa vediamo diffondersi chiusure e vocabolari che creano differenze e diffidenze, muri e barriere sempre più alti.


Giovanna Melandri, presidente della Fondazione Museo Maxxi, che ha fortemente voluto questo progetto realizzato con l’importante collaborazione e sostegno del Ministero degli Affari Esteri, ha tenuto a sottolineare che “l’immagine, la percezione, la conoscenza dell’Africa nel nostro recinto occidentale sono per lo più un campionario di stereotipi e caricature di processi storici profondi, spesso poco noti. Sappiamo poco dell’Africa, delle dinamiche reali che agitano quell’immeso prisma di etnie, lingue, sistemi istituzionali, religioni. L’Africa per i nostri occhi distratti, è sinonimo di fame, di endemico sottosviluppo, di regimi autoritari o tribali, di un’emigrazione fuori controllo in fuga dalla miseria, dalle persecuzioni e dalle guerre.

African Metropolis. Una città immaginaria ci offre l’opportunità di immergerci nel ribollire di fermenti artistici, tensioni sociali, esperienze creative che percorrono un’area del pianeta il cui futuro sarà decisivo per tutti. E quale immagine dell’Africa ci raccontano gli artisti in mostra? Come può la loro voce contriburie a scavalcare il peso di vecchi e nuovi colonialismi e toccare la sensibilità di società e culture molto differenti? L’arte può aiutare a provarci. Con la forza delle emozioni e della ricerca.”
Sì, l’arte, le arti, possono aiutarci a intraprendere, o a continuare, un percorso di esplorazione ed elaborazione della realtà in maniera diversa, ad allontanarci da visioni scorrette, a ribaltarle e trasformarle in accelleratori evolutivi. E gli artisti in questo possono aiutarci perché loro stessi sono portavoci di un processo che li vede figli di più continenti e universi cultuali.
Forse la mia è una rappresentazione della realtà un po’ ingenua, ma d’altronde anche l’utopia fa parte degli ingranaggi del motore del cambiamento.
Riconoscersi nella grande etereogeneità dell’Africa è uno degli obiettivi della mostra. Ci si chiede come si possa vivere insieme in uno spazio che sembra composto da differenze insormontabili, e se sia possibile costruire il ritratto di una città di cui tutti siano abitanti pur essendo stranieri. Mettendo in mostra parte della produzione artistica di un continente che comprende 54 paesi, migliaia di città e milioni di abitanti, African Metropolis, Una città immaginaria restituisce un contesto universale e ci aiuta a comprendere le città di tutto il mondo, simili a libri da sfogliare, impossibili da raccontare, ma soltanto, e soprattutto, da vivere.

Opere monumentali si alternano a lavori intimi e rielaborazioni site specific. Alcuni lavori catalizzano l’attenzione e ricreano la sensazione dello spazio cittadino e delle sue dinamiche. Tra questi, le gigantesche installazioni realizzate per la mostra da Bili Bidjoka, che sulla piazza del museo innalza una Time Tower, scultura con sopra scritte diverse frasi e parole, che cita la Torre di Babele e il Faro di Alessandria, e da Youssef Limoud che, con il suo Labyrinth, evoca un edicificio collassato su se stesso. E anche lavori come Prendre le Bus et regarde (2006), di Amina Zoubir, che restituisce al visitatore la sensazione di essere all’interno di un autobus, o Le Salon Bibliothèque, di Hassan Hajjaj, anche questa realizzata appositamente per la mostra, che riproduce lo spazio di una libreria dal sapore marocchino e globale, dove è possibile riposare, conversare e leggere uno dei vari libri suggeriti dagli artisti in mostra.

“Le città fanno cadere le maschere e ci riportano a uno strato di verginità primordiale. Ci ricordano di noi stessi e della nostra centralità. Ma a differenza delle città che conosciamo e consideriamo “nostre”, il Sé a cui ci riporta una città sconosciuta è un vuoto che invece di escludere, include, e ci invita a riempire questo ‘tra’ senza il quale nessun incontro è possibile,” ci dice Simon Njami. “Il soggetto di questa mostra non è lo spazio fisico che delimita la città, ma lo spazio mentale che trasforma in potenzialità. Non si tratterà dunque di costruire tipologie riguardanti la città italiana, camerunense o giapponese, ma di avvicinarsi alla città come un’esperienza dal vivo. Un processo, piuttosto che un fine. E se arriveremo a parlare di costruzione, si tratterà esclusivamente di creare spazi utopici, senza cemento né piastrelle, senza mettallo né vetro. La città che abbiamo cercato di immaginare è un contesto universale. Uno spazio in cui i quartieri saranno composti da altrettanti mondi, da paesi immaginari. ‘Paesi sognanti’ che si contrapporanno ai paesi reali,” continua il curatore. “La sfida di questa mostra è inventare la città di tutte le città. Una città dove tutti potranno trovare dei punti di riferimento personali. Alcuni cercheranno di collocare questa città in Africa o in Europa, mentre in realtà si tratta di una finzione, anche se l’Africa è il filo conduttore di questa narrazione. L’obiettivo è far emergere l’essenziale e immergere il pubblico in una verità diversa. La città africana di cui alcuni si dilettano a fantasticare non esiste. Non è altro che questo: come vivere in spazi dell’apparente, insormontabile eterogeneità?”

E Hou Hanru, direttore artistico del MAXXI, mostra le sfide a cui dobbiamo rispondere e le opportunità da cogliere. “Superati i decenni asiatici che hanno contraddistinto l’inizio degli anni Duemila, l’Africa è il nuovo continente del boom. Nel 2018 molti considerano l’Africa una terra piena di promesse per il futuro globale; non più vittima del colonialismo, l’Africa diventa attore fondamentale nella trasformazione del mondo,” continua. “Muovendosi nello spazio urbano e incontrando popolazioni di ogni tipo, gli artisti in mostra ricorrono a lingue, forme e rimandi profondamente diversi per sottolineare la portata urbana e globale della propria immaginazione e del proprio impegno. Creano, simultaneamente, visioni idealistiche e critiche della realtà, che riguardano soprattutto il futuro delle ‘città africane’. E in questo scenario, qual è il ruolo dell’istituzione occidentale? Come si può continuare a decolonizzare l’istituzione stessa cercando di essere ‘aperti’ al mondo? E di quale mondo stiamo parlando? E, aspetto più importante, stiamo ancora seguendo le stesse tradizioni coloniali e nelcoloniali? Cosa resta da inventare? Li consideriamo ‘altro’ da noi? Quanto desideriamo diventare l’altro?”

Per tutta la durata delle mostre African Metropolis. Una città Immaginaria e di Road to Justice, mostra parallela che offre un’ulteriore riflessione sui temi del postcolonialismo, della memoria e dell’identità, un ricco programma ne approfondirà i temi: in calendario incontri con artisti, architetti e scrittori africani, danza, live music, una rassegna di cinema in occasione del centenario di Nelson Mandela e anche una sfilata benefica con abiti da sposa dall’Africa. Si comincia da oggi, venerdì 22 giugno, fino al 4 novembre.
Non perdete l’occasione di farvi invadere l’animo da un’altra storia, che parla anche di Africa.
Qui trovate maggiori informazioni sulla mostra Road to Justice. E info sul calendario dei tanti eventi che animeranno questa stagione del MAXXI qui.
Gli artisti in mostra: Akinbode Akinbiyi, Heba Y. Amin ,El Anatsui, Joël Andrianomearisoa, Abdulrazaq Awofeso, Sammy Baloji, Bili Bidjocka, Mimi Cherono Ng’ok, Godfried Donkor, Franck Abd-Bakar Fanny, Meschac Gaba, Lucas Gabriel, François-Xavier Gbré, Simon Gush, Hassan Hajjaj, Nicholas Hlobo, Délio Jasse, Samson Kambalu, Kiluanji Kia Henda, Abdoulaye Konaté, Lamine Badian Kouyaté (Xuly.Bët), Youssef Limoud, Onyis Martin, Lavar Munroe, Hassan Musa, Paul Onditi, Maurice Pefura, Pascale Marthine Tayou, Antoine Tempé, Andrew Tshabangu, Sarah Waiswa, Ouattara Watts, James Webb, Amina Zoub.
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Immagine in evidenza | Cidade em movimento (2016) di Délio Jasse – Tutte le altre immagini | Per gentile concessione del MAXXI e degli artisti
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Arti visive, performative e audiovisive, cultura, musica e viaggi: vivrei solo di questo. Sono curatrice e produttrice culturale indipendente e Direttrice Artistica di GRIOTmag e SPAZIO GRIOT, spazio nomade che promuove la sperimentazione multidisicplinare, l'esplorazione e la discussione.