Africa E Arte Contemporanea A Roma | Siamo Stati All’anteprima Di ‘Essere L’Altro’

“Il primo motore della tua esistenza, quello che ti fa uscire dalla tua caverna per spingerti oltre, oltre ciò che hai già visto, oltre ciò che già sai, è il bisogno di un altro. In ogni caso, favorevole o contrario, solo un altro ti permette di costruirti. È d’obbligo dunque ringraziarlo. Senza un altro, rinchiuso in te stesso, non avresti alcuna presenza nel mondo (…).” Sono queste le parole usate dal curatore Simon Njami per introdurre I is An Other / Be the Other—Io è un Altro / Essere l’Altro— mostra d’arte contemporanea che abbiamo avuto il piacere di vedere ieri in anteprima alla GNAM – Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea a Roma.

Parole che ricordano, oggi più che mai, come l’alterità, la diversità, sia fondamentale, indispensabile, per costruire la nostra identità, il nostro io. Una mostra “che ci invita a uscire da noi stessi per provare, con il corpo e con l’anima, l’ebbrezza di essere l’altro,” continua Njami, critico d’arte, direttore artistico della XII Biennale di Dakar (Senegal, 2016) e per dieci anni della Biennale Fotografica di Bamako (Mali), curatore del primo padiglione africano alla 52/a Biennale di Venezia (2007), co-fondatore della Revue Noire, una rivista quadrimestrale—tra le primissime—di arte contemporanea legata ad artisti africani ed “extra-occidentali” pubblicata dal 1991 al 2001.
Un’alterità raccontata in 34 opere, realizzate da 17 artisti della diaspora africana, ognuno dei quali ha portato la propria personale visione sul rapporto con l’ignoto, che si individua a partire dall’incontro con l’altro, punto di partenza per la nostra conoscenza del mondo.
I lavori esposti—tra pittura, scultura, installazioni, video, fotografia e performance—mostrano una ricerca che passa per la mitologia, l’elemento visionario, il gioco, o per l’ironia, restituendo una grande varietà di interpretazioni della realtà.
Tra gli artisti presenti abbiamo ammirato gli incredibili Soundsuit di Nick Cave, forme scultoree basate sul corpo umano, composte da materiali diversi, fittamente intricati, ma allo stesso tempo costumi di scena e strumenti musicali che giocano con le apparenze, i cliché, incarnando l’intera gamma delle emozioni umane. In alcune di queste maschere, intessute di ramoscelli colorati, risuona la tristezza; altre invece sono un’esplosione di gioia.

L’installazione di Maurice Pefura, intitolata The Silent Way, mette invece in scena la Divina Commedia, e lo fa attraverso una sorta di labirinto in cui saremmo prigionieri, composto da ampie e larghe pagine bianche che fungono da pareti. Attraversando questo labirinto ci si rende conto però della presenza di iscrizioni invisibili, o visibili, a seconda dell’angolazione, quasi come fosse un rito di iniziazione. Una volta usciti poi si incontra Beatrice.


Un labirinto che non porta necessariamente in qualche luogo, “un labrinto non fisico ma mentale”, che si traduce nella scultura di Beya Gille Gacha, una Venere nera ricoperta di perline, un’opera che non racchiude i miti africani ma i miti del mondo.

Entrambi i lavori guardano il trittico di Bili Bidjocka, artista che riprende il concetto di Iniziazione che di volta in volta ci proietta all’Inferno, in Purgatorio e in Paradiso, lasciandoci la scelta di decidere la nostra temporalità, senza che le opere rispondano quindi a un ordine stabilito per compiere il viaggio.


“Non voglio che le persone entrino in questa mostra cercando l’Africa. Voglio che entrino e pensino a se stesse,” ha dichiarato Simon Njami durante la conferenza stampa di presentazione della mostra. ”Non so cosa sia l’Africa, tutti abbiamo a che fare con l’Africa. Qui ho portato degli artisti contemporanei.”
“La mostra non riunisce miti africani, ma tutti i miti del mondo. Perchè l’altro non esiste, contrariaremente a quanto affermano i discorsi politici e ideologici. È una fantasia che custodiamo gelosamente e che, a forza di essere raccontata, improvvisamente diventa verità,” ha continuato il curatore.
“L’errore per il pubblico italiano sarebbe quello di voler giocare necessariamente la carta delle origini, insistendo sulla differenza, anzichè ricercare la somiglianza. Gli artisti riuniti in questa mostra sono tutti di origini africane, e per questo non devono più rivendicarle. Lasciano questo compito agli altri, a chi, per sentire di esistere, ha assoluto bisogno di contrapposizioni, storia contro storia, come se quelle che chiamiamo storie non fossero, in fin dei conti, un diversivo creato per distogliere gli essere umani dall’essenziale.”
“Non è una mostra con un messaggio,” prosegue. “Il mio invito è ad attraversarla, a considerare le opere un’unica partitura. Ognuno di noi non è ciò che rappresenta: io stesso quando torno nel mio paese d’origine, il Camerun, vengo considerato svizzero perché sono nato lì. L’altro? Non esiste.”
Parlando d’Italia, Simon Njami dice quanto sia ‘affascinante’ la nostra vita politica, sempre piena di sorprese. “Non so quale governo avrete, ma una strana malattia sta attraversando l’Europa. La crisi vera è pensare che sia sempre colpa dell’altro. Il populismo vince qui come in Francia. L’Italia è solo più spettacolare.”
Per la direttirce della Galleria Nazionale, Cristiana Collu, “Questa mostra è la più importante della stagione. Non guarda alla cronaca e non scende a compromessi, non chiede permessi a nessuno, né racconta storie attraverso la voce di qualcun’altro. Lo fa attraverso quella di chi le ha vissute, mettendo in campo temi come l’altro, l’alterità, la differenza, che questo museo frequenta da sempre, soprattutto negli ultimi due anni’.”
Gli altri artisti esposti sono: Igshaan Adams, Jane Alexander, Theo Eshetu, Phyllis Galembo, Paulo Kapela, Majida Khattari, Kutala Chopeto, Mehdi-Georges Lahlou, Wilfredo Lam, Ato Malinda, Owusu-Ankomah, Patrick Joël, Tatcheda Yonkeu.
La mostra apre oggi, 20 marzo, e sarà visitabile fino al 24 giugno.
Dove
Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma
Dal martedì alla domenica, 8.30 – 19.30
Biglietto intero: € 10,00 / Ridoto: € 5,00
Immagine di copertina | The Silent Way (2013) di Maurice Pefura; Venus Nigra (2017), di Beya Gille Gacha – Tutte le immagini | Foto di Johanne Affricot e Marco Brunelli
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Johanne Affricot
Arti visive, performative e audiovisive, cultura, musica e viaggi: vivrei solo di questo. Sono curatrice e produttrice culturale indipendente, fondatrice e direttrice Artistica di GRIOTmag e SPAZIO GRIOT, spazio nomade che promuove la sperimentazione multidisicplinare, l'esplorazione e la discussione.